Il canto di Paloma
(La teta asustada)
Claudia Llosa
– Spagna/Perù
2008
- 1h 43'
|
|
BERLINO 2008: Orso d'oro - miglior film |
Il
cinema latino-americano continua a difendere con coerenza la propria
identità linguistica e culturale e a resistere strenuamente ai tentativi
(e alle tentazioni) di globalizzazione imitativa, ma nell’ambito di una
produzione di denuncia stanno emergendo autori che sperimentano altre
strade, ricorrono a espedienti narrativi stravaganti, lavorano su spunti
fantastici.
Il canto di Paloma,
ad esempio, vincitore dell’Orso d’Oro all’ultimo Festival di Berlino,
opera seconda della peruviana Claudia Llosa, parla di dolore e paura
femminile con uno sguardo delicato e grottesco, poetico e duro al tempo
stesso e diventa un canto disperato sulla condizione alla quale sono
condannate giovani peruviane (e non solo) da un mondo maschile fatto di
violenza, superstizioni e pregiudizi. Alla morte della madre, la ventenne
Fausta che vive nella degradata periferia di Lima, ha bisogno del denaro
per darle sepoltura. Fa mille sacrifici, mentre la sua sofferenza va oltre
il lutto perché, secondo un rito ancestrale, i parenti le hanno inserito
una patata nella vagina per preservarne la verginità e proteggerla da
stupri e possibili gravidanze. Il fastidio per il corpo estraneo e le
possibili infezioni convive con l’erotismo represso, la minaccia reale
degli uomini e le ossessioni per esorcizzarne la violenza. Un’esistenza
sospesa tra baracche desolate raccontata con campi lunghi, pause, silenzi,
stile asciutto e austero, sguardo antropologico profondo, freddezza
espositiva, musica coinvolgente. |
Alberto Castellano -
Il Mattino |
Negli
ultimi vent'anni del secolo scorso, il Perù ha vissuto un tragico periodo
di guerra civile tra la giunta militare e i movimenti rivoluzionari che
sarebbe costato, secondo i dati forniti dalla Commissione per la verità e
la riconciliazione, poco meno di 70 mila morti e un numero incalcolabile
di stupri e violenze. Soprattutto tra i membri delle comunità indigene. In
quegli anni di violenza e di dolore, la cultura popolare ha elaborato
alcune credenze per giustificare, se non proprio spiegare, i comportamenti
delle persone che hanno vissuto quei momenti. Tra queste ha preso
particolarmente piede la diceria della «teta asustada» (letteralmente il
seno impaurito), una «malattia» che si trasmetterebbe col latte materno e
che toglierebbe l' anima alle persone per farla nascondere sotto terra per
il dolore. E proprio
La teta asustada
è il titolo originale del film di Claudia Llosa, che ha vinto l' Orso d'
oro all' ultimo festival di Berlino e che ora esce in Italia come Il canto
di Paloma. In effetti il film comincia con un canto (che sfortunatamente
l' edizione italiana del film non sottotitola, impedendoci di capirne
appieno il senso), il canto con cui la madre moribonda ricorda alla figlia
Fausta (Magaly Solier) di essere stata allevata con il latte del dolore
cui fa riferimento il titolo originale e che permette di spiegarci le
paure che sembrano dominare la vita della figlia. Cresciuta nell' incubo
degli stupri e nel chiuso del nucleo famigliare, Fausta è terrorizzata
dagli uomini che non siano lo zio Lucido (Marino Ballón), al punto di
temere anche se li incontra per strada. E come artigianale strumento di
difesa contro le violenze sessuali, si è riempita la vagina con una
patata, con le immaginabili conseguenze di infezioni e germogliamenti vari
(che però il film tratta con il massimo pudore). Tutto questo lo scopriamo
nelle prime scene del film, quando la morte della madre costringe Fausta a
cercare i soldi per poterla trasportare nel suo villaggio natale e per
questo ad accettare un lavoro da domestica nella casa di una ricca
musicista, Aida (Susi Sánchez). Ma invece di scegliere un racconto
tradizionale, dove i piccoli e grandi fatti quotidiani aiutano lo
spettatore a capire la psicologia (e le paure) della protagonista, la
regista sceglie un' altra strada, meno esplicita, fatta solo di allusioni,
di particolari significativi. E una linea narrativa che si preoccupa
soprattutto di giustapporre l' universo chiuso della villa dove Fausta
presta servizio al poverissimo barrio della periferia di Lima dove invece
la ragazza abita con lo zio e gli altri membri della famiglia. Così da una
parte una macchina da presa abbastanza incombente cerca le paure e le
angosce di Fausta dentro le azioni quotidiane del lavoro (i suoi movimenti
lenti e guardinghi, la distanza che impone al mite giardiniere della
villa, il bisogno di «protezione» che la spinge a non aprire mai del tutto
le imposte) mentre dall' altra inquadrature più larghe e composite
inseriscono Fausta nel mondo familiare del barrio, fatto di riti
stereotipati e usanze identitarie. Che la regista osserva con lo sguardo
dell' antropologo, di cui conosce perfettamente il valore sociale di
promozione e gratificazione (le scene di matrimonio, specialmente il «sì
collettivo» e la «processione» dei regali), ma anche la capacità di
cementare e gratificare l' unità del gruppo familiare (l' improvvisata
piscina nella fossa dove lo zio voleva seppellire il corpo della defunta).
Il film procede così, registrando più che veramente mettendo a confronto
due mondi che faticano a comunicare, di cui non nasconde le ingenuità e le
perfidie, ma che acquistano una consistenza narrativa soltanto in funzione
della «presa di coscienza» di Fausta, finalmente capace di confrontarsi
con le proprie ossessioni solo quando comincia a prendere coscienza dei
propri «diritti» (almeno quelli che la sua ricca padrona vorrà all'
improvviso negare). Senza voler per forza risolvere ogni cosa ma aprendo
finalmente lo sguardo della sua protagonista a un sorriso di speranza. E
alla fine il film non ci nasconde che le cose da fare restino gigantesche
(come quella specie di arca di Noè su ruote che vediamo verso la fine del
film ferma davanti a una galleria troppo piccola per farla passare) ma ci
dice che almeno il tubero della patata ha cominciato a germogliare nel suo
ambiente naturale, nella terra di un vaso, e ha anche saputo far nascere
un fiore che non ha nulla da invidiare a gerani e rose. |
Paolo Mereghetti -
Il Corriere della Sera |
promo |
Nel Perù,
crudele e solitario, la giovane Fausta, col trauma di esser nata
da uno stupro, si è protetta dalle inside del mondo infilata un
tubero lì dove la violenza maschile potrebbe colpirla. E nel suo
corpo la patata sta germogliando... Terre desolate e animi
lacerati, realtà e magia: un racconto dolente al quale solo uno
sbocco lirico (Truffaut docet) può dare speranza. |