I segreti di Brokeback Mountain (Brokeback Mountain)
Ang Lee - Canada 2005 - 2h 14'


Venezia 62° - Leone d'oro

miglior regia (ANG LEE)
miglior sceneggiatura non originale (L. MCMURTRY, D. OSSANA)
miglior colonna sonora (GUSTAVO SANTAOLALLA)

    Da una storia d’amore tra due cowboy qualcuno potrebbe aspettarsi un film dagli effetti forti, vuoi per l’accostamento tra il genere western e il melo, per giunta omoerotico, vuoi per la demistificazione di una delle icone maschili più consolidate dell’immaginario cinematografico. Ebbene, il film di Ang Lee, Brokeback Mountain, inatteso Leone d’oro alla 62° Mostra del Cinema di Venezia, riesce davvero a sciogliere come neve al sole aspettative o preconcetti <<, offrendo allo spettatore una storia che stupisce piuttosto per semplicità e delicatezza: forse il segreto della sua vittoria è proprio in questo.
Non a caso “fresh” è l’aggettivo che
film precedente in archivio Ang Lee film successivo in archivio usa per descrivere ciò che lo ha colpito nel racconto Gente del Wyoming (edito in Italia da Baldini & Castoldi), da cui il film è tratto: in queste pagine di Annie Proulx (la scrittrice americana premio Pulitzer per The shipping news) , al di là della tematica gay, il regista ha sentito essenzialmente una buona base per sondare l’umanità e la profondità dei sentimenti. E queste freschezza ha cercato di conservare nel raccontare la storia dei due cowboy.
Ennis (Heath Ledger) e Jack (Jake Gyllenhall) si incontrano ventenni nell’estate del ’63, quando trovano lavoro da un allevatore di pecore che li spedisce insieme sulla Brokeback Mountain a fare la guardia al bestiame. In questi spazi ampi e solitari, scambiandosi pochi monosillabi ma condividendo lo scorrere del tempo, i due si innamorano. Niente preamboli: la passione nasce inspiegabile ma inarrestabile, com’è sempre la passione. E fa vivere loro un’estate intensa e unica. Fino all’autunno. Poi la vita sembra riprendere i binari consueti: i due tornano a casa, cercano lavoro , si sposano, hanno figli. Ma continueranno a vedersi, ogni tanto, col pretesto di una settimana di pesca, alla Brokeback Mountain. E se le loro esistenze quotidiane scorrono sempre più grigie e spente, tra problemi, rancori, gelo e meschinità, è in quei giorni, trascorsi insieme nello spazio incontaminato di quella montagna, che i due vivono la parte più autentica della loro vita. Fino a che una morte non li separerà, almeno fisicamente.
Siamo Wyoming degli anni ’60, e nel rude mondo dei mandriani non è certo facile trovare il coraggio di vivere apertamente un amore gay: Jack forse sarebbe disposto a farlo, ma Ennis non riesce neanche a pensarlo. Il tema di fondo non è però tanto la difficoltà di affermare la propria identità sessuale, quanto quella di esprimere i propri sentimenti e di portare allo scoperto e condividere con qualcuno il proprio mondo interiore.
I due protagonisti vivono il miracolo di riuscirci, senza molte parole, alla Brokeback Mountain e al di fuori di questo rapporto vivranno una totale afasia dei sentimenti: lo squallore dei rapporti di Jack, soprattutto in famiglia, e i dialoghi mancati di Ennis con la figlia, che pure ama, sono emblematici di questo deserto (a questo riguardo il regista afferma: “Tutti hanno la loro Brokeback Mountain, cioè un luogo sicuro dove rifugiarsi e ritrovare il proprio passato, un posto che conosci solo tu e riguarda i tuoi affetti”). Dunque una grande love-story. Il protagonista assoluto è l’amore, il legame forte e resistente che lega i due al di là dei problemi e dei fatti, che si susseguono nel film come comprimari. Anche la morte, abituata a giocare nelle storie un ruolo fondamentale, qui entra in sordina, attraverso un racconto indiretto, e non scalfisce quasi il protagonista, l’amore appunto, che continua a vivere.
A fronte di una materia così spudoratamente romantica, Ang Lee costruisce un film sobrio e pacato. Una mano gliela danno sicuramente i due giovani interpreti, Heath Ledger e Jake Gyllenhall, volti per ora non notissimi al pubblico italiano (ma ricordiamo Gyllenhall come protagonista del cult 
Donnie Darko), destinati sicuramente ad affermarsi. Di Heath Ledger, presente a Venezia con ben tre pellicole, al di là del gioco dei ruoli interpretati (dal cowboy gay al giovane Casanova), colpisce la prova convincente nei panni di un personaggio per cui è così difficile esprimere i propri sentimenti, tutta giocata su mezzi sguardi e frasi masticate a fatica. Per entrare così bene nella parte Ledger ha detto di essersi ispirato semplicemente ai mandriani della sua terra, l’Australia (“Certo ho preso qualche lezione d’accento, ma anche da noi si parla, si sputa, si cammina come nel Wyoming”). E Ang Lee, da parte sua, evita accuratamente di sfruttare i facili effetti drammatici delle situazioni: la sua regia gioca piuttosto a sottrarre, lasciando il campo a spazi e silenzi che diventano una componente importante del respiro del film. Non a caso Lee ha sottolineato come la sfida principale postagli dal soggetto fosse quella di riuscire a sposare il registro epico con quello intimista. Si può affermare che la sfida è stata vinta.

Licia Miolo - MC magazine 14 - ottobre 2005


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