Arcipelaghi |
da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Benchè sia tratto dal romanzo di Maria Giacobbe che porta lo stesso titolo, Arcipelaghi è l'esatto opposto di un film letterario. In qualche modo fa venire in mente lo spirito neorealista, oppure Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta, per la scelta del dialetto (con sottotitoli), l'utilizzo di attori non professionisti, l'autenticità dei luoghi. Inquadrata in un processo che si celebra al tribunale di Nuoro, la storia riguarda due omicidi. Del primo è vittima il piccolo Giosuè che, mentre cura le pecore in un ovile isolato, assiste involontariamente a un furto di cavalli. I ladri, tre balordi locali, gli intimano di tacere; poi uno di essi, ubriaco, lo uccide. Il secondo omicidio ha per oggetto l'assassino del bambino, ucciso a colpi di pistola durante la festa del paese. Ne è imputato Oreste, il fratello appena quattordicenne di Giosuè. Riflessione amara sulla giustizia e sulla vendetta, ancorata agli aspetti più arcaici della cultura sarda e tuttavia profondamente critica riguardo ad essi, Arcipelaghi ha un impianto corale servito da volti e da corpi straordinariamente "giusti", convincenti, veri. Con film come questo, o come Tornando a casa di Vincenzo Marra, il cinema italiano riscopre un bisogno di autenticità e di aderenza alle cose imprevisto, perché lo si credeva dimenticato. Con una differenza di rilievo, però, rispetto al passato. Anziché un andamento cronologico e lineare, abituale nel cinema realistico, Arcipelaghi adotta una narrazione spezzata, non-cronologica, fitta di anticipazioni e di ritorni indietro, che ricorda piuttosto i procedimenti del cosiddetto cinema "moderno". Un tipo di racconto rappresentato metaforicamente dagli arcipelaghi del titolo, dove le sequenze-isole affiorano dalle dichiarazioni, dalle memorie e dai rimorsi dei vari personaggi. |
da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
Lo stile alto della tragedia e la sincerità degli interpreti benissimo scelti (Pietrina Menneas, che recita il personaggio della madre, è una rivelazione per intensità ed eloquenza) contribuisce a un risultato raro, ammirevole. Sembra persino singolare che il regista Giovanni Columbu, 52 anni, sardo di Nuoro istruito a Milano, laureato in architettura, autore di docu-fiction, di programmi tv d’informazione culturale e di alcuni saggi, con esperienza televisiva e amministrativa, (da assessore alla Cultura), sia con Arcipelaghi al suo primo lungometraggio. |
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i giovedì del
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TORRESINO
maggio-giugno 2003
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8/5/2003
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