Anche nel panorama del “gradito ai minori” il merchandising natalizio impera. Possiamo esprimere perplessità per la “divertente e scanzonata ricostruzione della nascita della pizza napoletana” di Totò sapore e per l’ennesima, esplosiva avventura di Sinbad “tra le mille e una notte e Indiana Jones”? Il 3D digitale di Looney Tunes Back in Action ha ancora il fascino di Space Jam e dei (car)toon originali della Warner? E l’Opopomoz di Enzo Dalò vive di vera ispirazione o la fiabesca leggerezza di La freccia azzurra e La gabbianella e il gatto sono solo un ricordo? L’unica certezza è che il connubio Disney-Pixar è una vera meraviglia e che Alla ricerca di Nemo rinnova il piacere della visione di Toy Story e Monsters & Co. Rispetto a questi Finding Nemo ha una minore brillantezza narrativa (il percorso di formazione del piccolo protagonista e il tormentone genitoriale sono comunque retorici ed efficaci al punto giusto, così come il ritmo dell’azione ha guizzi davvero memorabili), ma ha un coinvolgimento, per quanto riguarda il “punto di vista”, a dir poco straordinario. Avete mai immaginato cosa si provi ad essere un pesce, a solcare le profondità del mare tropicale, a tuffarsi nel blu dell’oceano? Meglio che con un maschera da sub, con Finding Nemo ci immergiamo in quell’acquario magico che è lo schermo cinematografico e ci emozioniamo con la storia di due intrepidi pesci pagliaccio, papà Marlin e il piccolo Nemo. Quando questi viene catturato e finisce in un acquario, il padre si riscopre eroe e sfida le insidie del mare aperto per ritrovarlo. Come nel grande cinema di genere americano i personaggi di contorno diventano punti di forza (come dimenticare l’adorabile, svampita Dory?), le gag stemperano la tensione (sì, c’è vero crescendo d’ansia per la sorte del piccolo pesce arancione!), le idee dello script diventano fantasie vincenti dei protagonisti. Ma il fascino è tutto nelle immagini folgoranti del digitale: la trasparenza dell’acqua, il turbinio di branchi di pesci e testuggini, l’avvolgente sinuosità di un anemone di mare… Come ipnotizzati da uno screen-saver che ci ha attratti in sé, ci troviamo dall’altra parte dello schermo, sentiamo gli umani come nemici estranei, sguazziamo con spontanea fluidità tra la sgargiante vegetazione del mondo sottomarino. Ecco perché era così pimpante il granchio Sebastian quando canticchiava il piacere del vivere “Under the Sea”! ezio leoni - La Difesa del Popolo - 25 dicembre 2003 |