A.I. Intelligenza Artificiale (A.I. Artificial Intelligence)
Steven Spielberg
– USA 20012h 26’

       Eccolo dunque A.I. Artificial Intelligence, il progetto mai nato di Stanley Kubrick e la grande favola del bambino mai nato, l'apologo di una società immatura, che ha ancora bisogno di favole per sognare e sperare. Per trasportare il racconto di Brian Aldiss (Supertoys Last All Summer Long), Spielberg parte da un presupposto, enunciato nell'intervista inviata alla Mostra: "se un robot si affeziona a noi, possiamo ricambiarlo?". Barocco e ridondante, affascinante e melenso, splendido e insopportabile, A.I. divide. Ma, come per le macchine, è più facile parlarne male che farne a meno.
In un imprecisato futuro, il professor Hobby (lo scienziato di William Hurt!) inventa un bambino programmato per amare ed essere amato. E' un mecca, un automa avanzatissimo: il suo problema sarà legare con gli orga, gli umani. A fare da cavia i genitori di un bambino ibernato da cinque anni perché affetto da una grave forma virale. Monica e Henry Swinton accolgono con qualche diffidenza David, ma in pochi mesi la donna avvia la programmazione definitiva, attraverso alcune parole chiave, davanti allo stupefatto ragazzino. Il meccaboy inizia appena a porsi alcune domande fondamentali - di quelle che i bambini non mancano di fare ai genitori attoniti: "Mamma, un giorno morirai? Resterò solo?" - che l'ibernato torna in vita e, da bravo fratellino geloso, inizia a metterlo in difficoltà. Programmato per amare, David non ha la malizia umana, e "soccombe". Abbandonato nel bosco, inizia una peregrinazione che lo conduce negli abissi della privazione affettiva, sostenuto dalla speranza di incontrare la Fata Turchina che lo faccia diventare un bambino vero. 
Difficile sapere quanto di Kubrick sia rimasto nel film: acquistati i diritti nell'83, Kubrick ha messo mano a un trattamento di 90 pagine che dovrebbe essere rimasto nel film di Spielberg, considerato più idoneo a fare il film dallo stesso Kubrick. E certamente A.I. resta un film con tutti i pregi e i difetti del regista di Cincinnati. Temi di grande profondità sono coniugati con enfasi retorica, ma con una maestria, soprattutto nella prima metà del film, che oggi pochi possono vantare. A un tema sicuramente kubrickiano (l'aberrazione della natura umana, l'attenzione per la tecnologia) quanto l'illuminazione della scena, astratta e nitida, fa riscontro la poetica del fanciullino che non solo trova eco in Pinocchio e
Peter Pan, ma addirittura in Cenerentola, richiamata dalle note della colonna sonora disneyana. 
Lasciato in compagnia dell'orso Teddy, un supertoy un po' obsoleto, e di un amante robot, Gigolò Joe (Jude Law), David (Haley Joel Osment) viene catturato dai sanguinari carnefici della Fiera della carne, "paese dei balocchi" dove i mecca sono sterminati davanti a un pubblico assetato di congegni, giungendo infine in una Manhattan - come Venezia e Amsterdam - ormai completamente sommersa dal mare. Non ci risparmia nulla, Spielberg: lezioni didattiche sulla creatività umana e sulla complessità della clonazione, fascinazioni visive di grande impatto e new age. Certamente la ricerca incessante della madre risulta d'una melassa in cui si finisce per restare impiastricciati. Ma l'apologo, sull'uso corretto della scienza, e soprattutto l'attenzione kubrickiana sull'infelicità della razza umana, costituiscono momenti di grande cinema. 
Risvegliato dopo duemila anni di ibernazione, David diventa utilissimo per le creature superiori che lo scoprono per capire - meglio, cinematograficamente, per vedere - la scomparsa civiltà umana. Ma come Hal, anche David sembra condannato all'eterna infelicità: pur messo in guardia dai rischi della clonazione, David non ha dubbi. Fallibile come un vero essere umano, il mecca preferisce che si realizzi almeno per un giorno il suo desiderio: "Please, make me a real boy". Struggente come solo Spielberg sa essere, il finale regala assieme a un coccolone edipico anche una morale trascinante: come elephant man, raggiunta per un giorno la pienezza affettiva, David riuscirà per la prima volta a dormire come un essere umano. 
Spielberg e il suo A.I. hanno lo stesso problema di David: cercano di fare in ogni modo per farsi amare, ma non sempre ci azzeccano. Ma quando riescono a trovare il passo giusto, non puoi esimerti da stringerteli al cuore.

Michele Gottardi - La Nuova Venezia - 7 settembre 2001

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