giugno 2011

quadimestrale di cinema, cultura e altro... ©

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Reg.1757 (PD 20/08/01)

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La Tutto quello che so sulla divulgazione […] l’ho appreso un pomeriggio del 1965 (o era il ‘64? o il ‘66?). Si era comunque nel pieno degli anni del boom economico. Si vendeva e si consumava di tutto. Anche i libri: a peso, dicevano i maligni ricordando l’esempio dell’Ulisse di Joyce, che, appena tradotto (1960), era stato venduto in ottantamila copie e comprato da ottantamila persone che poi capirono di non avere nessuna voglia, o interesse, o piacere, a leggerlo. C’erano già allora i dibattiti culturali, le presentazioni, le tavole rotonde, gli incontri. C’era a Roma la libreria Einaudi, a via Veneto, che aveva strutturato ed attrezzato allo scopo una saletta sotterranea. Si malignava che a riempire quell’elegante bunker, in occasione della settimanale presentazione di libri,fossero quasi esclusivamente signore con la veletta. […] Fu in occasione di una di quelle presentazioni di poesia che Italo Calvino, nient’affatto impressionato dalla presenza di tante signore, spiegò « poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere». La poesia: ma la divulgazione? A distanza di quindici e più anni, molte cose sono mutate; ma quella definizione rimane calzante. E vale per la divulgazione, oltre che per la poesia. […]
Il pubblico (di oggi ndr) tanto più giovane, più numeroso, più interessato di quello di vent’anni fa, continua a vedere la cultura attraverso un velo. Le fattezze di Nietzsche sfumano in quelle di Lacan, che rassomiglia stranamente ad Elias Canetti, che deve essere imparentato in qualche modo a Dostoevskij, o cugino di Joseph Roth. Si confondono fra di loro anche i signori che stanno dietro il tavolo (rotondo). Colpa loro, cioè nostra: dovremmo diradare quel velo, e invece lo rendiamo più torbido. Vero è che il compito è gravoso: si tratta di soddisfare la fame di informazione culturale di un pubblico giovane, diffidente, impaziente. Questo pubblico, in tanto, c’è. Chi non vuole accettarlo, o lo prende in giro, si strugge ancora di segreta nostalgia per quelle signore - con o senza veletta - di tanti anni fa. Questo pubblico c’è. Ma troppo spesso esce deluso e irritato dai nostri dibattiti, o convegni, o tavole rotonde. Evidentemente non facciamo abbastanza bene il nostro lavoro di mediatori, di divulgatori. Non siamo all’altezza del nostro compito. Che consiste, per riprendere Calvino, nel far entra re il mare in un bicchiere.
Prendi quel «mare magnum» che è Freud e fallo entrare in un articolo. Prendi quel mare agitato che è il problema del «politico» e fallo entrare in una trasmissione televisiva di un’ora, o in un intervento alla radio di dieci minuti (di più non si può, la gente si stanca). Prendi quell’oceano tempestoso che è la rivoluzione francese, e falla entrare in un libro - leggibile per favore - di duecentocinquanta pagine. Qualche volta qualcuno ci è riuscito. Quel tale, per esempio, che per spiegare la «differenza» fra Mozart e Bach ebbe a dire: quando gli angeli giocano fra di loro, suonano Mozart; quando parlano con Dio, suonano Bach. Divulgazione perfetta: perché dice qualcosa di giusto, di essenziale su Mozart, su Bach e mette voglia di saper (di sentire) di più. Sono le due condizioni che una divulgazione deve soddisfare per essere seria. Si tratta, dicevamo, di far entrare l’acqua del mare in un bicchiere.
Ma, primo: quell’acqua dev’essere veramente acqua di mare, non annacquata, non inquinata. La divulgazione non è sciatteria, non è approssimazione. Al contrario. Vanno di moda le biografie. Ma molte delle di personaggi storici che arrivano oggi sul mercato rivelano un retroterra culturale povero, un’informazione di seconda mano, un aggiorna mento bibliografico e problematico approssimativo. Anche una biografia di Garibaldi di non può essere scritta alla garibaldina. Semmai, deve essere scritta alla «Cavour»: con un lucido progetto in testa, una strategia complessiva, una consapevolezza diplomatica (che cos’è la diplomatica? È «lo studio dei documenti di interesse storico e erudito, allo scopo di accertarne l’autenticità la provenienza», Devoto e Oli. Dizionario della lingua italiana).
In più la divulgazione dev’essere leggibile. Fa da ostacolo il fatto che i «professori» (gli accademici in generale) «non sanno scrivere». È il cruccio dei direttori di giornale, è la lamentela assidua degli editori. I motivi sono risaputi e mille volte spiegati. «Non sanno scrivere» perché scrivono pensando al collega che li leggerà con cipiglio fiero; perché hanno un concetto spagnolesco della dignità culturale; perché maleducati fin dalla più tenera età (come tutti noi, del resto) da una scuola che non ha imparato — e quindi non può insegnare — che non si apprende a scrivere facendo i «temi» ma facendo i «riassunti».
Ma perdurando - ancora chissà per quanto tempo - questa situazione, non si vede perché uno storico (o un economista, o uno scienziato) non debba potersi associare ad un buon divulgatore per sciogliere in un linguaggio onesto e comprensibile – le cose che sa e che vorrebbe far sapere agli altri.
Versare il mare in un bicchiere, si diceva. Ma, secondo il bicchiere pulito, limpido. Trasparente. In che senso? Nel senso in cui lo è il bicchiere in cui si «versa» la poesia. I seguaci appassionati di Hiddeger mi hanno convinto che la poesia non vale tanto per quello che dice, quanto per quello che non dice e di cui fa intravedere l’incombente presenza. Dev’essere ogni poesia, come la siepe dell’«Infinito» leopardiano che, certo, da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Però, sedendo e mirando interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi e profondissima quiete io (come voi) nel pensier mi fingo, ecc.
Una divulgazione seria deve far capire che in quel bicchiere c’è dell’acqua di mare, ma non c’è il mare. Siamo seri: è davvero possibile che uno scienziato mi faccia capire tutto - in un libro di duecentocinquanta pagine, o in una trasmissione televisiva di trenta minuti - sulla teoria della relatività? Se è così semplice, com’è che egli ha impiegato tanti anni di studio per venirne a capo, per padroneggiarla? Quello scienziato – se è bravo e bene assistito da un bravo «divulgatore» - può farmi capire delle cose essenziali. Ma soprattutto può (anzi deve) farmi intravedere anche le tantissime altre cose che ci sono, e che varrebbe la pena di capire.
Attraverso il bicchiere si deve vedere il mare, e averne voglia. Una divulgazione seria non ci dà l’illusione che si possa nuotare in due dita di liquido salato Non ci fa correre il pericolo grottesco di affogare in un bicchier d’acqua (sia pure d’acqua di mare).

la Repubblica - aprile 1982