...Ed
è appunto il fare cinema a riassumere lo stimolo inferto dalle
numerose proposte contenute nelle se(le)zioni della rassegna del
capoluogo subalpino, e allo stesso tempo probabilmente il vero
sentore interpretativo ideale per affrontare lo slancio di
rinnovamento ingenito nelle opere prime o seconde, così come nelle
commistioni mediali insiste in molte creazioni di nomi fino a
prima sconosciuti o, infine, in una sorta di reflusso visionario
del già visto (o vedibile) e per questo ancor più invisibile, la
riproposizione perturbante di ogni frammento dell’arte
avanguardista di autentici maestri (Nagisa
Oshima e
Nicholas Ray).
Una proposta di titoli, autori, generi, sperimentazioni,
retrospettive (tra cui una mini personale del giovane - classe
1970 - e già cult, cineasta danese
Nicolas Winding Refn)
in grado di rappresentare e palesare il movimento impreciso e
ineludibile dell’immaginazione del
filmabile, dov’è evidente ancora una volta l’opera alacre del
sogno come rimedio inclito e munifico all’incedere mortifero della
vita.
Di certo, a conti fatti, ogni scelta operata dallo spettatore nel
programma di
Torino 27
apre a un approfondimento e a una mancanza, generando in questo
modo appunto quel conflitto tipico della produzione filmica. Il
risultato è un insieme unico e relativo, che in questo caso, si
può qui tradurre in identificazioni di riferimento verso i quali è
senza dubbio doveroso riempire uno spazio e aprire il ricordo. In
questa personale organizzazione della materia, ciò che più
traspare e si manifesta, in una sorta di esigenza formale, è di
sicuro la sperimentazione di genere, e la proiezione dei generi al
di là della conscia e dichiarata assunzione e assimilazione da
parte del soggetto di un modello denotativo univoco e comprensivo.
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