Un caso speciale quindi da considerarsi il paese di
SCHABBACH,
nell'Hunsrück meridionale in cui abbiamo
conosciuto le diverse generazioni (dal 1919 al 1982) della famiglia Simon attraverso
quel mega-film che fu
Heimat, presentato
al Festival di Venezia nel 1984. La
mole realizzativa
di Heimat (11 episodi, per una durata di oltre 15 ore) impressionò
quanto la sua grandiosità narrativa, la scorrevolezza intrinseca di una
tematica complessa e di ritmi e tempi dilatati, la pregnante fisicità
di quei luoghi, di quell'ambiente umano che Edgar Reitz
seppe dipingere con straordinaria abilità, coniugando la storia della
sua patria con la storia dei suoi personaggi, la saga di una famiglia nell'epoca
tra le due guerre, negli anni bui del nazismo, nel periodo ambiguo della rinascita
economica.
Sia chi ebbe l'occasione di vedere
Heimat sugli schermi
del Lido, sia chi lo scoprì come una appuntamento "carbonaro"
nelle notti estive di Rai 3, percepì la fascinazione della straordinaria
ariosità del racconto, dell'incredibile intrecciarsi di piccoli
e grandi episodi, dell'apparire e scomparire di una miriade di personaggi,
tutti ugualmente indispensabili alla crescita globale della narrazione,
al configurarsi di una saga-simbolo tra storia e memoria. Meno immediata,
ma non meno suggestiva fu la puntualizzazione sul significato del termine
Heimat, non Patria nell'accezione comune, ma più precisamente
"luogo natale e di residenza, paese d'origine e casa paterna"
(definizione lessicale) o ancora, secondo una citazione da Ernst Bloch
"il regno delle brame e delle nostalgie, dei desideri e dei bisogni...
La grande miniera della prassi non ancora addomesticata, il luogo del desiderio
non ancora esaudito"
Su tali premesse e sul successo di critica e pubblico che in Germania
accompagnò Heimat, Edgar Reitz iniziò nel 1985 a scrivere
una seconda maxi-storia partendo non dalla fine cronologica del primo film,
ma dal personaggio cardine (e in parte autobiografico) che aveva animato gli
ultimi episodi: il giovane Hermann, figlio di Maria e di Otto, primo intellettuale
del ceppo Simon, musicista e compositore, "esule" a Monaco di Baviera
per completare i suoi studi, per scoprire se stesso e il mondo nella "seconda
patria" che il destino gli ha riservato.
"Quando, alla fine degli anni settanta, cominciai
a girare Heimat, mi trovai a dover
affrontare una decisione molto importante: i personaggi che vivevano nella
cittadina del film, Schabbach, erano tormentati dalla voglia di andare
via ed alcuni di essi se ne erano andati per non far più ritorno
per una vita intera. Nella veste di narratore dovevo decidere se accompagnare
quelli che se ne andavano o rimanere nella cittadina e seguire la storia
di quelli che restavano. Scelsi la seconda versione, e così si creò
l'immagine di una comunità cittadina, di un vincolo familiare, di
un mondo che funziona solamente nell'infanzia. Heimat,
la terra delle origini, sempre qualcosa che si è perduto, una nostalgia,
un desiderio che non si realizza mai. Si resta delusi, se ci si prova a
tornare...
Negli anni della produzione di
Heimat
ho pensato spesso all'altra versione: una narrazione che accompagnasse
uno di quelli che se ne andavano lungo il cammino al di fuori della cittadina,
del paesaggio, della famiglia, del mondo dell'infanzia. Molti di noi hanno
vissuto un'esperienza simile, ed essa ci ha influenzati non meno della
stessa Heimat, della terra dalla quale proveniamo...
Ho impiegato sette anni di lavoro per poter finalmente
presentare questo secondo film,
Die zweite Heimat
(La seconda patria). Il titolo non indica la prosecuzione di
Heimat,
bensì quel luogo che scegliamo da adulti e nel quale decidiamo di
fermarci. Il lavoro, le amicizie, la famiglia che ci formiamo sono le caratteristiche
di questa patria di elezione. Essa si fonda sulla nostra decisione. Ma
l'amore, l'amicizia, il lavoro sono valori che si disgregano facilmente.
Nella seconda patria si vive su un suolo incerto. La nostra tensione verso
la libertà è irrinunciabile, ma pericolosa per ogni legame.
La seconda patria è sempre una cosa provvisoria... Come protagonista
ho scelto Hermann, il ragazzo che se ne va da Schabbach, dopo che la sua
famiglia ha distrutto il primo amore. Come era stato annunciato in
Heimat,
Hermann va a vivere in una grande città, per studiare musica. Insieme
a lui percorriamo il decennio che egli impiega per diventare adulto: gli
anni sessanta. Insieme a lui incontriamo gli altri personaggi, che vorrebbero
realizzare i loro sogni nella città, giovani musicisti, cineasti,
attori, letterati, insomma, i giovani artisti su cui da sempre Monaco ha
esercitato la sua attrazione... Mentre Heimat
descriveva l'infanzia, la cittadina, la famiglia, il racconto parla
ora del passaggio all'età adulta, della vita nella grande città,
dell'amicizia e dell'amore"
Per narrare tutto ciò, per riprendere il filo della
memoria e dei sentimenti di cui si intesse il suo cinema, Reitz ha costruito
con Die zwiete Heimat un'altra opera
monumentale, ancora più ampia, nella gestazione e nei risultati,
del lavoro precedente: 2143 pagine di sceneggiatura,
7 anni per la produzione, 557 giornate di ripresa, 71 attori, 310 comparse,
372.046 m di negativo e 48.000 m di edizione definitiva per un totale di
25 ore e 32 minuti di cinema suddivise in 13 episodi.
Si parte dal 1960 quando
Hermann,
ventenne musicista di talento, con il cuore in pezzi per un amore perduto,
lascia la sua Schabbach, per studiare composizione musicale all'Università
di Monaco e si arriva al 1970, anno in cui ritornerà nell'Hunsrück,
sereno e maturo, riconciliato con la vecchia e la nuova patria, capace
di accettare nella vita il peso dei ricordi e il valore del saper attendere.
Musicisti, cineasti, intellettuali dello Schwabing (il quartiere
degli artisti di Monaco) diventano i suoi amici; nelle notti elettrizzanti
alla Tana della volpe e nei continui stimoli dell'ambiente culturale
che lo circonda prende forma la sua visione della realtà, il suo
mondo, che è il mondo narrativo su cui si costruisce Die
zwiete Heimat. Il film di Reitz attraversa tutto un decennio
descrivendo con profonda sensibilità protagonisti e situazioni,
distillando il tempo cinematografico in una pacatezza che non è
mai esasperante ed identificando ognuno dei 13 episodi in un momento storico-poetico
al quale corrisponde la singola focalizzazione di un personaggio, su cui
si accentra via via la vicenda:
Juan, un genio
polivalente, musicista, poliglotta, giocoliere,
Evelyne
e Ansgar che si amano di un amore romantico
fuori dal tempo (ma che la morte banalmente distrugge),
Helga
che incarna lo spirito ribelle della nuova giovane Germania,
Alex
timido intellettuale-filosofo (e coscienza storica del gruppo); e poi
Clarissa,
il grande amore di Hermann, violoncellista e cantante in fuga dal coinvolgimento
dei sentimenti,
Schnüsschen, la mogliettina
ideale, dolce e borghese ragazza di provincia, la più anziana
signora Cerphal, elemento di raccordo tra le diverse
generazioni, ed infine
Reinhard,
Rob
e Stefan i tre cineasti che, mescolando cinema
e vita, imprimono un carattere ulteriormente autobiografico all'opera.
Attento all'evolversi delle psicologie e alla visione collettiva
che il loro fondersi costituisce, Reitz preferisce tenere provocatoriamente
"alla finestra" l'universo di riferimenti storici di quei fatidici
anni '60 (solo accennati da squarci marginali),
mentre ciò che acquista spessore nell'evolversi del racconto è
il fluire quasi proustiano di sensazioni e ricordi che sono quelli dei protagonisti
e del regista, della storia europea e del nostro immaginario in cui davvero
Die zweite Heimat riesce a configurarsi
come un'indimenticabile seconda patria cinematografica.
Il tema unificante è quello della musica, la
neue
musik della Germania di quegli anni e che per Hermann e compagni (soprattutto
per
Jean-Marie e
Volker,
ai quali mancato l'onore di un episodio personale) è il respiro del vivere.
In Die zweite Heimat ci sono di continuo
spazi-concerto che scandiscono l'evoluzione artistica dei protagonisti e che
riescono progressivamente a coinvolgere anche lo spettatore meno musicofilo
in un percorso sonoro che è quello dell'affermarsi
delle composizioni d'avanguardia come realtà artistica del novecento.
Ma l'anima di Die zwiete Heimat è
anche un'anima romantica, turgida di un desiderio d'amore che trova continui
ostacoli alla propria placida espressione: Hermann fugge da Schabbach proprio
a causa del negato amore di
Klärchen;
Evelyne, che scopre come i suoi genitori abbiano vissuto un amore intenso
e fuggevole, è destinata lei stessa a perdere tragicamente il suo
caro Ansgar;
Olga non conosce relazioni durature
(e in ogni caso gli uomini che sceglie, Ansgar e Reinhard, sono segnati
dal destino),
Renate incarna la banalità
dell'amore fisico ed Helga la sensualità della liberazione sessuale
(ma chi ne fa le spese il tormentato Stefan), mentre Reinhard trova in
Esther la passionalità e l'ispirazione
per la sospirata sceneggiatura. Volker infine ama sinceramente Clarissa
ma è destinato ad una relazione di "supplenza" perché
il vero amore del film quello tra Clarissa ed Hermann: un amore ricambiato,
ma tenuto sempre sulla soglia a causa della immaturità dei due,
che si maschera dietro la voce adulta della loro musica.
Ma Die zweite Heimat è
anche un trattato generazionale. Il confronto,
che si fa scatenante a partire dal nono episodio (la speculazione edilizia che
"abbatte" la Tana della volpe, gli imbrogli finanziari della
famiglia Cerphal, lo sconvolgimento e le responsabilità del nazismo incarnate
dal
signor Gattinger), ritorna di continuo nelle
relazioni tra genitori e figli: Evelyne ed Ansgar si amano con l'intensità
dei genitori di lei, ma su Ansgar pesa l'ottusità di un padre e un madre
bigotti ed egoisti; Helga appena rientra a Dülmen si scontra con la sua
famiglia; Alex ha, sul comodino, una foto del padre che lo suggestiona sul valore
dell'amicizia e del denaro, Jean-Marie e Volker dialogano sulle diverse realtà
sociali da cui provengono; Clarissa deve subire il peso dell'esperienza di sua
madre la quale, abbandonata in gioventù, ora esterna nella sua severità
i timori per un avvenire sbagliato per la figlia. Il
console
Handschuh (anche
lui con la coscienza poco pulita rispetto agli anni della guerra) custodisce
nella sua grande casa una camera per un figlio che non è mai riuscito
ad avere; di contro Hermann abdica come padre e Clarissa non riesce a trovare
il giusto sentimento materno verso il bambino che ha avuto con Volker. Infine,
se Esther non sa darsi pace per la perdita della madre deportata a Dachau e
per la crudeltà del padre che non ha fatto nulla per impedirlo, Reinhard
invece ricorda con affetto il suo genitore anche se su di lui, aviatore, pesa
un'altra vergogna della generazione dei padri, il bombardamento di Guernica
("Anche lui è un assassino" - "Sì, ma
tanto caro").
Alla suggestione di Die zweite Heimat
contribuiscono un pullulare di assonanze narrative, di metafore minimali, di
particolari apparentemente trascurabili che si combinano in un continuo rimando
di situazioni ed emozioni, di misteriose casualità
e di intime coesioni tra i vari personaggi della storia, tra gli infiniti tasselli
del mosaico complessivo. Così nel secondo episodio compare nelle mani
di Reinhard un fucile (un ricordo del padre) a cui lui tiene molto (non per
niente cita John Wayne): Olga lo imbraccia e uccide simbolicamente Ansgar che
l'ha abbandonata. Ansgar stesso nell'episodio seguente fa continui discorsi
sulla morte e di lì a poco il suo destino tirerà le fila dei presentimenti.
Quel fucile ricomparirà al matrimonio di Hermann: Juan lo usa per il
suo tentato suicidio e Stefan, furibondo con Reinhard perché l'ha lasciato
carico, vuole spaccarglielo in testa, scatenando la lite che li far cacciare
tutti dalla "Tana della volpe". Sempre al matrimonio, Evelyne compare
in compagnia di un africano e ciò viene d'un tratto a collegarsi ad un'isolata
sequenza in cui avevamo intravisto quell'uomo di colore seduto in una chiesa
vuota, a rimarcare forse il disagio dell'integrazione multirazziale nella Germania
del dopoguerra.
Ancora, nel quarto episodio, Helga, mentre ritorna a casa, vede dal finestrino
del treno Stefan e gli altri che in una stazione girano le sequenze di
un film, ma quando torna sul posto non c'è più nessuno, solo
una serie di foglietti, attaccati qua e là, con le battute dei dialoghi...
Hermann intanto, che viaggia verso Dülmen in autostop, trova un passaggio
da un guidatore che, affetto da improvvise pause di incoscienza, rischia
di continuo un incidente, ma si considera fortunato perché "così
non ho i problemi di quelli che non possono dimenticare". Se un albero
caduto sfonda le finestre della "Tana della volpe" proprio all'inizio
dell'episodio che vede la morte di Kennedy irrompere bruscamente nella
privacy del gruppo, alla festa di matrimonio, mentre Hermann e Schnüsschen
sigillano con un bacio la loro momentanea felicità, il montaggio
contrappone l'arrivo all'areoporto di Clarissa. E quando a Venezia, dove
Reinhard vive la sua storia d'amore con Esther, la macchina da presa indugia
più volte sulla sfera luminosa della luna, non bisogna dimenticare
che proprio in quell'anno il Surveyor I atterrava sul satellite.
Infine nell'ottavo episodio Elisabeth Cerphal, che ha trovato
una pistola tra gli oggetti del padre, mentre si abbandona ai ricordi,
spara un colpo che va a colpire la sedia dello studio, simbolo del comando
del vecchio genitore. Scopriremo a fine episodio che proprio in quel momento,
nel suo letto all'ospizio, il signor Cerphal esalava l'ultimo respiro...
Die zweite Heimat
vive
di questi magnetici frammenti che rivitalizzano di continuo uno script così
monumentale, concedendogli una straordinaria scorrevolezza. L'inusuale durata
e l'intarsio del racconto diventano la chiave di volta per un'immersione totale
in cui la pacatezza del tempo narrativo adegua il nostro
sentire al complesso intreccio della storia ed il meccanismo di identificazione
opera sulla nostra sensibilità con una forza di finzione che lambisce
la realtà.
E' difficile far percepire la sofferenza che si sente sulla propria pelle
nel partecipare all'odissea sentimentale di Hermann e Clarissa, l'istintivo,
destabilizzante fascino che emana Helga, lo sconcerto che ci assale all'improvvisa
scomparsa di Reinhard. Quello di Edgar Reitz è un cinema memorabile,
incredibilmente ispirato, coinvolgente nel rievocare la magmatica complessità
dell'epoca, commosso nel descrivere luoghi e personaggi, nel dar parole
(e musica) alla forza del desiderio della "seconda patria". Il
suo viaggio attraverso la Germania degli anni '60 è il viaggio di
una generazione attraverso il decennio della propria crescita interiore
e il vivere da spettatori l'Heimat-film è un'esperienza nostalgica
di ininterrotta suggestione ed intensa liricità.
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