Lo
si dovrebbe chiamare animatore culturale, ma la definizione, oltre ad
essere in se e per se, un po’ paradossale, sarebbe riduttiva. Meglio
allora usare il termine “cinéphile”, perché se c’è qualcuno per cui questo
termine si giustifica nel suo uso letterale è proprio lui. Piero Tortolina
è un personaggio chiave per quel che riguarda il rapporto tra Padova ed il
cinema, eppure è anche un ombra, una sorta di fantasma. Se incontri
qualcuno del mondo del cinema e dici che se di Padova, ti dice subito,
“ah, Piero Tortolina …” eppure lui non è un critico, non compare in
televisione, non viene intervistato, non gestisce associazioni o
circuiti”. E’, come dire, un punto di riferimento, una sorta di nume
tutelare, non sempre amato, ma riconosciuto dagli addetti ai lavori,
sconosciuto a tutti gli altri. E del resto questa sorta di invisibilità
probabilmente gli piace.
Chi è allora Piero Tortolina? Una prima risposta è questa: è stato per
alcuni anni il maggiore collezionista privato italiano di film; senza la
sua cineteca molte cose in Italia non si sarebbero viste, senza la sua
trasmissione televisiva anche trasmissioni simbolo come Fuori orario
non sarebbero state le stesse. E questo potrebbe bastare. Ma sarebbe
parziale. Un'altra risposta possibile è questa: è stato un protagonista
(per Padova il protagonista principale) di quella stagione in cui i
cineclub hanno trasformato il modo di vedere e di giudicare il cinema,
affermando quel primato della visione, che la critica italiana nella quasi
totalità non riconosceva. E qui il discorso è complessa, ma vale la pena
di tornarci sopra.
Ma cominciamo dall’inizio. Piero Tortolina è nato nel 1927, un po’ per
caso a Canicattì, ma poi la sua vita è stata tutta padovana. L’interesse
per il cinema è nato subito, inizialmente da spettatore, poi anche da
lettore. La svolta è quando una rivista allora pubblicata, siamo alla fine
della guerra, bandisce un concorso che assegna un premio di 1000 lire alla
migliore recensione. Il giovane Tortolina, forte della sua passione, ci
prova e vince una volta, poi due, poi tre, arriva a 5-6. Potrebbe essere
l’inizio di una carriera da critico, ma saranno invece le sole critiche
scritte nel corso di una vita dedicata in buona parte al cinema. Perché
nel frattempo scopre che a Padova è nato il “Centro Universitario
Cinematografico” e comincia a frequentarlo. Fa leggere le sue recensioni e
Franco Venturini che ne era uno dei fondatori gli spiega che è come se
fosse andato ad abitare in una casa prima di costruirla. Come hanno fatto
tutti i critici –si potrebbe rispondere. Ma Tortolina è di una pasta
diversa e decide che sì, deve cominciare a farsi delle basi, che deve
vedere i classici, che deve leggere. E i classici grazie alla attività del
CUC comincia a vederli, ed anche a programmarli perché nel frattempo è
entrato nel ristretto gruppo di appassionati che gestisce il Centro.
Mentre guarda film si laurea, in ingegneria, ma lo fa con una tesi sugli
apparati tecnici delle sale cinematografiche. Perché – la parentesi è
importante- Tortolina è un “cinephile” autentico, che del cinema ama e
conosce anche la parte tecnica.
Dopo la laurea si tratta di decidere e Piero Tortolina prova ad occuparsi
di cinema professionalmente. Chiede l’ammissione al Centro sperimentale e
la ottiene. Dovrebbe diventare un tecnico del suono. Non lo diventerà mai.
Prima di tutto perché al Centro Sperimentale nessuno sa nulla di tecnica
del suono e quindi non insegnano nulla. Poi perché la borsa di studio è
irrisoria e papà Tortolina non è propenso a finanziare questa avventura.
Dopo un anno, dunque, Tortolina torna a Padova, a fare l’ingegnere ed
insegnare elettrotecnica, ma il cinema non lo molla. A Roma ha imparato
poco ma visto tanto, ospite permanente della Cineteca, visto che lezioni
per il suo corso ce ne erano poche o nulle. Legge i Cahiers du cinema
(di cui tra l’altro ha l’intera collezione), e vi coglie il nuovo spirito,
così consanante a quanto piace a lui. Torna al CUC e quando arriva anche
Lorenzo Codelli trova un compagno di avventure. Insieme programmano
Hitchcock
e i musical di Fred Astaire,
John Ford
e Nick Ray, ma anche il cinema giapponese e Godard. All’epoca, siamo negli
anni sessanta, la cultura critica italiana è ancora molto ideologica e
soprattutto molto letteraria. Giudica le storie, i contenuti, studia i
film sulle sceneggiature, non percepisce molto l’aspetto cinematografico
in se e per se, non parla di inquadrature e movimenti di macchina, non sa
riconosce un 16 millimetri da un 35, è ancorata all’idea di cinema come
succedaneo della letteratura. Ed invece la nuova cultura cinematografica
lentamente permea di se i cineclub, dove il dibattito classico comincia a
latitare, e, se c’è, comincia faticosamente a sottolineare aspetti
propriamente cinematografici, anche se poi finisce per insaccarsi nel dato
contenutistico.
Ecco, Piero Tortolina è uno dei protagonisti di questo svecchiamento, di
questa rivoluzione. A Padova certamente, ma anche in Italia, e non è forse
un caso se qualcuno dei critici che oggi hanno cinquant’anni e che sono
stati protagonisti di una svolta decisiva, Enrico Ghezzi tanto per fare un
nome, riconosce in lui un progenitore e soprattutto qualcuno che ha reso
possibile vedere concretamente quei film di cui si parlava nelle riviste
francesi, inglesi, americane.
Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio del settanta col CUC Piero
Tortolina avvia l’esperienza del Cinema 1, ovvero un cineclub che proietta
due film al giorno e tutti i giorni. Tortolina lo programma, proietta film
in lingua originale, le opere dei filmaker americani, in base ad un unico
principio, che ruba ad Alberto Arbasino: “qui si fa cinema e non opere di
bene”. Che significa che si proietta tutto ciò che piace, tutto ciò che è
interessante e questo è l’unico criterio. Piero Tortolina è il primo, in
Italia, a far rivedere i film di Busby Berkeley, il primo a dedicare il
giusto spazio ai fratelli Marx e probabilmente a Jerry Lewis. Da solo? No,
c’è il CUC dietro, gli altri membri del direttivo, ma lui è il boss, anche
con qualche tendenza dittatoriale che non rinnega: “Io credo che in una
associazione culturale non si possa agire democraticamente, non si può
votare se fare un film o meno. Democraticamente si dà la responsabilità a
qualcuno, che poi segue la propria linea avendo carta bianca. Se non piace
lo si caccia”. Per cinque anni Tortolina sceglie i film e fa tornare i
conti, scrive il programma del Cinema 1, che è anche un modo per dire la
propria opinione, per orientare, ma il programma stesso rimane
rigorosamente anonimo. Tortolina rimane un’ombra. Dopo cinque anni
Tortolina passa in secondo piano, altri si assumono il compito di
programmare, e però comincia una nuova avventura. “Forse non so stare
fermo” -dice oggi. Facendo due conti si rende conto che affittare i
vecchi classici ogni due anni potrebbe non essere conveniente: perché
semplicemente non comprarsi una copia e farla quante volte si vuole?
Convince gli altri del CUC e cominci ad indagare. Scopre, a Padova, un
vecchio magazziniere che conserva copie di vecchi film. Per pochi soldi li
compra. Poi vuole continuare, l’occasione è buona, ma al CUC esitano, ci
sono contrasti, ed allora i film li compra per se. Per amore soprattutto,
per averli lì. Ma poi si accorge che i cineclub, i comuni, glieli
chiedono, che si guadagna qualcosa e quel qualcosa lo reinveste in altri
film. La rete si allarga, Tortolina compra in Italia scavando nelle
cantine. Un episodio: “Da Verona Guidorizzi mi chiedeva sempre di
comprare una copia di
Lola Montes
ed io gli dicevo che l’avrei fatto volentieri, ma non la trovavo. Poi un
giorno, da un vecchio distributore compro dei film e chiedo se è tutto
quello che hanno. Mi dicono che è tutto. Ma siete proprio sicuri? Si, si,
o forse c’è qualcosa in cantina, ma è allagata. Torno a casa, prendo gli
stivaloni, e chiedo che mi facciano entrare in cantina. Trovo una miniera
di vecchi film e, perfettamente conservata, una copia integra di
Lola
Montes”.
Così la febbre cresce e Tortolina comincia a comprare negli Stati Uniti
film in lingua originale, che si vedono poi un po’ in tutta Italia: nei
cineclub, nelle retrospettive, ovunque si proietti un certo cinema. Farli
entrare in Italia non è facile, il collezionismo cinematografico non è
contemplato dalla legge, e Tortolina qualche volta batte vie traverse,
utilizzando in alcuni casi quello che è oggi un serissimo docente
universitario americano come corriere clandestino. Arriva a possedere 1500
film, scelti uno per uno, ma la gestione sta diventando troppo onerosa. La
Rai ricorre spesso ai suoi film, e il prestito diventa quasi un lavoro a
tempo pieno, perché le copie magari tornano mutilate, le spedizioni devono
partire due tre volte alla settimana, comprare richiede sempre più tempo.
A questo punto Tortolina, con rammarico, decide di vendere. CI sono
trattative col Comune di Padova, che vorrebbe far restare in sede il
patrimonio, ma alla fine, e siamo al 1997, è la cineteca di Bologna a
comprare tutto.
Avventura finita? No, c’è un altro capitolo. A Cattolica il Comune cambia
la gestione del festival cinematografico. Chiama a dirigerlo Giampiero
Brunetta. Lui esita, poi parla con Tortolina e decidono di accettare. E
così per cinque anni il "cinéphile" affianca Brunetta nell’allestimento
del festival. Regalano retrospettive ad Abel Ferrara e John Woo, prima che
diventino icone da cinéphile e chiudono con un bilancio culturale, una
volta di più, all'altezza della situazione.
E adesso? Piero Tortolina continua a guardare film, continua a leggere di
cinema, fa un salto ai festival (a Bergamo soprattutto, a gustarsi le
retrospettive), affila la sua lingua tagliente di fronte ai film che non
gli piacciono, prova a sollecitare distributori ed esercenti verso titoli
che meritano di essere valorizzati, si indigna perché a Padova il cinema
sta male e la cultura latita e il cinema non va come dovrebbe. Resta come
suo solito nell'ombra o meglio nella penombra... di una qualche sala che
proietti cinema di qualità. |