Si esce frastornati dall'ultimo film di Paolo Sorrentino (...). Frastornati dalle immagini, dalle battute, dai personaggi, dalle gag (ci sono anche quelle: la levitazione del monaco buddista, il sesso a squarciagola dei due coniugi che sembravano muti), in generale da un cinema che nasconde il suo senso dietro una miriade di indizi che poi sfuggono tra le mani: ti sembra di aver finalmente afferrato il filo rosso che lega tutto, quando arriva uno scarto improvviso - un dialogo che si vorrebbe memorabile e non lo è, un'inquadratura ricercatissima che poi si rivela gratuita - e ti ritrovi sperduto in un film che svapora di fronte ai tuoi occhi. II meccanismo non è certo nuovo, ma curiosamente è più frequente nella scrittura che nelle arti figurative (di cui in fondo il cinema fa parte). È la strategia di chi confonde le tracce per sospendere l'intellegibilità del suo raccontare e scegliere volutamente il «vuoto» o l'«oscuro» (di narrazione, di linearità, di senso) per lasciare spazio all'«alterità del non linguistico», come dicono gli studiosi, per aprire verso un approccio evocativo e intuitivo, dove ogni spettatore si sente libero di portare a termine un puzzle lasciato a metà, ognuno con la propria lingua e la propria conoscenza. Ma dove lo stesso spettatore può finire per sentirsi condannato a restare su un piano più basso, quello di chi non ha «capito» e si sforza di dare significato a qualche cosa che è stata «tolta» o «messa» proprio per disorientare e confondere. Per questo Youth lascia frastornati, perché alla fine ti sembra che il discorso sulla malinconia della vecchiaia e sul rimpianto della giovinezza sia troppo semplice o troppo complicato, capace di dire tutto e insieme niente, ridondante di luoghi comuni (...). Anche se non mancano momenti intensi e toccanti (...). (...) occasione per Sorrentino e il suo direttore della fotografia Luca Bigazzi per una serie di tableaux vivants ricercatissimi e conturbanti, sensuali e decadenti, astratti e realisti. In mezzo a queste immagini che non possono non ricordare (almeno nello spettatore meno giovane) l'universo onirico dell' '8½', i due protagonisti si confrontano con le proprie ossessioni e i propri ricordi, discutono di amori contesi e ripensano egoismi e generosità. Senza mai una vera consequenzialità, ma spesso rimettendo tutto in gioco mentre il film si concede intermezzi estetizzanti o pause riflessive. (...) Lasciando allo spettatore il compito, più o meno ingrato, di trovare da solo un senso a un mare di immagini e di battute, che possono dire tutto o niente. E di scegliere tra un'idea di cinema dove il regista guida lo spettatore attraverso l'universo delle proprie invenzioni e una dove invece lo disorienta per perderlo in un labirinto di specchi e battute. Io confesso di preferire la prima idea, ma è evidentemente un'opinione personale... |
Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera |
Due
grandi vecchi per un film sul tempo che passa mentre la giovinezza (degli
altri s'intende) ci assedia senza riguardi. Due grandi attori, Michael
Caine e Harvey Keitel, per una riflessione giocosa sull'arte, la
creazione, la bellezza (più seccature annesse, tipo la celebrità e i suoi
obblighi). Un film così aperto e accogliente che riassume e rielabora
tutto ciò che Sorrentino ha già fatto, ma in forma addolcita e
semplificata. Come se il regista de
La grande bellezza e
Le conseguenze dell'amore volesse rendere il suo cinema più
accessibile, meno inquietante, senza rinunciare ai tratti che lo rendono
ormai così riconoscibile, seducente e, osiamo questa parola ambigua,
piacevole. Naturalmente non è un delitto piacere, ma a forza di smussare
le punte 'Youth' disperde buona parte del suo potenziale (...) il
sottotesto drammatico è così abilmente celato dalle stravaganze da
risultare alla fine incongruo se non irrilevante. Il meglio è negli
immancabili pezzi di bravura, nell'incubo - videoclip con cui il regista
liquida le pop star e le loro mitologie, nel gusto per apparizioni e
epifanie che costella il film di incontri inattesi (...). Ma con tutte le
sue idee, le battute, la filosofia spicciola, i piccoli e grandi colpi di
scena, 'Youth' non fuga mai un vago senso di inconcludenza e gratuità. |
Fabio Ferzetti - Il Messaggero |
promo |
I quasi 80enni Fred e Mick sono amici di vecchia data. Fred è un compositore e direttore d'orchestra in pensione; Mick è un regista ancora operativo. I due stanno trascorrendo una vacanza presso un elegante albergo ai piedi delle Alpi ed entrambi sentono che il loro tempo si sta rapidamente esaurendo. Nonostante ciò, Fred e Mick decidono di affrontare il loro futuro insieme, osservando con curiosità e tenerezza l'ingarbugliata vita dei rispettivi figli e l'entusiasmo dei giovani sceneggiatori di Mick, così come quello degli altri ospiti. Nel frattempo, Mick si impegnerà per portare a termine la sceneggiatura di quello che immagina sarà il suo ultimo film importante e Fred, che non ha alcuna intenzione di tornare alla carriera musicale, riceve una proposta per tornare sul podio e dirigere un importante concerto. Il regista guida lo spettatore attraverso l'universo delle proprie invenzioni e al contempo lo disorienta per perderlo in un labirinto di specchi e battute. E il suo cinema risulta qua e là più accessibile, meno inquietante, senza rinunciare ai tratti che lo rendono ormai così riconoscibile, seducente, ambiguamente piacevole. |