Viaggio verso il sole (Gunese
Yolculuk) |
da La Repubblica (Irene Bignardi)
Per una coincidenza che sembra uscita da una sceneggiatura cinematografica, Viaggio verso il sole, il bel film turco della regista Yesim Ustaoglu che mette in scena la persecuzione anticurda in Turchia, è stato presentato lo scorso anno alla Berlinale proprio il giorno del rapimento di Ocalan, mentre la comunità curda di Berlino scendeva per le strade - con gli incidenti e le vittime che ne sono derivati. E alla fine il film si è conquistato il primo dei suoi molti riconoscimenti: il premio Blaue Engel per la pace - che gli ha consentito di avere il visto di censura, ma non di trovare una distribuzione in Turchia. E si capisce. Perché la sua denuncia è aspra, anche se espressa in maniera distaccata, sottile, con l'eleganza funzionale d'immagini sempre dense ed eloquenti, e quello che ci mostra - uno stato di polizia, dove la polizia non ha esitazione ad arrestare senza ragione, intimidire, picchiare, uccidere - non è certo il miglior biglietto da visita per un paese che vorrebbe entrare a far parte della Comunità europea. Bisogna aggiungere per lo spettatore italiano quello che Yesim Ustaoglu ha spiegato a suo tempo: che il protagonista è un turco di pelle scura, e per questa ragione viene regolarmente scambiato per curdo - e regolarmente emarginato quando non perseguitato (ma nella realtà l'attore, Newroz Baz, è proprio curdo). Che la persecuzione anticurda comincia nella cosmopolita Istanbul, dove, come si vede nel film, le case dei curdi sono segnate con una croce che equivale a una condanna. Che è la prima volta, dai tempi di Yol, quasi vent'anni fa, che sentirete parlare curdo in un film turco (niente paura, per questi brevi dialoghi ci sono i sottotitoli). Viaggio verso il sole è la cronaca di un'amicizia tra due marginali nella grande città, l'ingenuo Mehmet e il più politicizzato Berzan, di un amore molto tenero tra Mehmet e la giovane Arzu, che ci offre un ritratto pudico e forte di una semplice ragazza liberata nella testa più che nelle abitudini, di una persecuzione poliziesca ai danni di una minoranza, di un lungo viaggio dei due giovani alle origini - la lontana, bellissima, desolata Anatolia - che è anche l'omaggio di Mehmet all'amico ucciso brutalmente dalla polizia. Yesim Ustaoglu, che per formazione è architetto, ha un occhio speciale, di matrice neorealista, per cogliere la realtà dell'emarginazione sociale, etnica e politica, per esaltare i frammenti di realtà che ruba alla strada e che concerta con i suoi attori. Ma se al pubblico turco certi particolari sembreranno certo molto realistici, quel tanto di poco chiaro che può avere la realtà della Turchia contemporanea per lo spettatore occidentale conferisce al film, nella seconda parte, un tocco in più, un tono indeterminato e misterioso: come quei carriarmati (sono immagini di repertorio) che percorrono la città, suscitando la stessa angoscia metafisica che suscitavano quelli del bergmaniano Silenzio. E tra realismo, denuncia e poesia Yesim Ustaoglu s'impone con uno stile speciale, che promette un'autrice di cui vorremo sapere e vedere di più.