Cupo, ossessivo,
deprimente nel plot, vitale nello stile, il
Leaving Las Vegas
di Mike Figgis è uno schiaffo di pessimismo al sogno americano
e una prova virtuosistica a basso costo ai margini della produzione
hollywoodiana. Lui,
Nicholas Cage, è un alcolizzato che ha deciso di chiudere con
la vita nella capitale dell'azzardo (del gioco e dell'esistenza); lei,
Elizabeth Shue, è una prostituta avvezza a tutte le esperienze,
sola e smaliziata. L'amore tra i due è un'avventura umana disperata
e lancinante, anche il loro scambiarsi regali (gli orecchini "da
lavoro", un porta-whisky da tasca) ha il sapore amaro di una beffa
del destino, l'aria greve del loro inesorabile degrado è provocatoriamente
ravvivata solo dal pruriginoso linguaggio d'atmosfera. Eppure la regia
di Figgis si fa sentire, incombente e perentoria, la recitazione dei
protagonisti è al limite della perfezione (entrambi candidati
all'oscar e Cage
poi premiato) e il vero "scandalo" è il nostro voyeurismo
inconscio di fronte alla straripante presenza scenica della Shue.
e.l.
per Terza
Pagina marzo 96
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