Un
occhio che si apre, un corpo che prende vita dal buio. Una (palin)genesi
cupa e misteriosa perfetta per la riflessione fantascientifica oscura
e rassegnata del terzo lungometraggio di Jonathan Glazer.
Under the Skin è ispirato all’omonimo impressionante romanzo di Michael Faber,
dal quale risucchia (non a caso) la linfa per portare sullo schermo il
percorso formativo tragico di una ragazza. Che poi questa ragazza sia
un’aliena lo sappiamo a priori perché leggiamo le trame e le
recensioni ma, esattamente come nel libro, il riconoscimento della
natura aliena di questo essere “caduto sulla terra” avviene
gradualmente, e coinvolge, in duplice senso, sia la protagonista sia
lo spettatore. È più che consigliato dunque cercare di approcciare il
film senza quel pregiudizio automatico che scatta nell’immaginazione
quando di pensa all’estraneo proveniente da un altro mondo. Perché è
questo nostro mondo a risultare il vero estraneo se, come nell’idea
del regista, si prova a osservarlo con occhi diversi.
Com’è evidente fin dal titolo, il film rimanda a una dimensione del
significato sconosciuta sottesa al tessuto imposto dal segno. E in tal
senso il regista inglese dimostra un’abilità inaspettata, puntando a
una sottrazione minimale e a una ripulitura del canovaccio per
propagare un’inquietudine, uno smarrimento, un’astrazione che non
hanno bisogno di essere colmati. Se nel precedente e imperfetto
Birth. Io sono Sean (2004)
l’enigma si procreava dal verbo, qui le parole sono quasi del tutto
assenti, e fanno parte più del contesto sonoro che di quello
narrativo. Emerge dunque tutto il talento visivo di Glazer, maturato
nell’esperienza con videoclip e spot, per molti un mondo corrotto e
inconciliabile con il cinema, ma che - fermandosi a osservare questi
video la cosa appare subito meno sorprendente - può anche visibilmente
portare un arricchimento. Il voler ricercare uno stile che si avvicina
alla sperimentazione visiva e all’impulsività concettuale dell’arte
permette al film di approssimarsi alla materia aliena di cui è
composto, e a cui dona il volto e il corpo senza riserve una Scarlet
Johansson in versione dark, stranita e taciturna (esatto opposto del
ruolo in
Her di Spike Jonze, in
cui ne viene esaltata solamente l’evocativa suggestione del suo timbro
vocale). |
Alessandro Tognolo - gennaio 2014 - pubblicato su MCmagazine 35 |