Ubriaco d'amore (Punch-Drunk Love)
Paul Thomas Anderson - USA 2002 - 1h 29'

 Premio per la regia al Festival di Cannes


sito ufficiale

da Il Giorno (Silvio Danese)

     Dopo 100 anni di cinema è ancora possibile una storia d'amore? Questa è originale, poggiata sugli spigoli dell'insofferenza invece che sulle passeggiate a Manhattan, accompagnata da tamburi, viti e congas invece che da violini e clarinetti (colonna tumultuosa di Jon Brion). Barry, proprietario di una piccola azienda di stura-waterclose in California (Sandler è una scoperta), fratello di sette ragazze che gli hanno lasciato complessi d'inferiorità, aggressività repressa e scariche di pianto, si tiene incredibilmente in equilibrio con una solitudine nervosa. L'unica telefonata che azzarda a una linea erotica provoca un ricatto. L'unica ragazza che lo invita a cena, diventa la scoperta violenta dell'amore (delicata e misuratissima la Watson). Barry è l'essenza dell'incontenibile nel mondo della norma e dell'anaffettività. Il regista di Magnolia scopre una recitazione magnetica, alta di metronomo e di attitudini ansiose...

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

     Fratello unico di sette sorelle castratrici che fanno a gara nel provocargli crisi isteriche, Barry Egan vivacchia alla giornata senza riuscire a rendersi indipendente né a trovarsi un amore. Frattanto, il giovanotto si abbandona a pratiche di erotismo e di finanza non precisamente destinate al successo. Per rimediare al deserto della sua vita sessuale, comunica il numero della carta di credito a una linea di telefono erotico trovata nella rubrica dei piccoli annunci: da allora, un mascalzone prende a ricattarlo. Quanto alle operazioni di alta finanza, Egan si è accorto che una marca alimentare ha commesso un errore di calcolo nel proporre ai clienti chilometri in aereo contro prove d'acquisto: comprando solo dodicimilacentocinquanta pacchetti di pudding, per la cifra di tremila dollari, avrà diritto a due milioni di chilometri. Un giorno, preannunciato da un harmonium che sembra piovuto dal cielo, arriva l'amore nelle sembianze di Emily Watson; graziosa e carismatica, anche se il suo personaggio resta poco "lavorato". Per vivere felice e contento con lei, Barry dovrà riuscire a liberarsi del ricattatore. Diretta del regista del monumentale Magnolia, questa commedia romantica è la cosa più originale vista sullo schermo da alcune stagioni a questa parte. Già dalla prima, folgorante, scena si capiscono due cose: che Paul Thomas Anderson è in gran forma e che Adam Sandler, da noi noto solo come protagonista di fesserie comiche da dimenticare, diretto dal regista giusto può essere un grande attore. Qui, il suo personaggio di giovanotto non cresciuto, edipico e regressivo ricorda, in qualche momento, il grande Jerry Lewis. A partire dallo stile cromatico, che rifà il glorioso Technicolor, Anderson rende vistosamente omaggio al cinema americano degli anni '40, di cui riproduce anche le atmosfere e l'articolazione dei tempi comici. Però il suo film va ben oltre il tributo nostalgico: bagna in quell'atmosfera metafisica che è il marchio di fabbrica del talentoso regista, alterna iperrealismo e surrealismo (vedi, all'inizio, l'apparizione quasi magica della pianola, un po' come la pioggia di rane alla fine di Magnolia), è buffo e spiazzante, incongruo e pieno di sorprese; coniuga genialmente il ritmo del montaggio con quello di una partitura musicale - in prevalenza percussioni - fatta di pezzi brevi. Un film dannatamente pieno di stile, insomma; e insieme divertente, il che non guasta affatto.

da Donna (Paolo Mereghetti)

     Forse non siamo nella condizione migliore per apprezzarlo. Forse non riusciamo nemmeno a immaginarci quale sia la pressione (economica e di conseguenza artistica e psicologica) che la macchina hollywoodiana esercita sui registi che cercano di percorrere strade indipendenti e originali. Forse? Ma e certo che di fronte all'ultima regia del regista di Boogie Nights i dubbi sul suo percorso creative (e di altri registi, come Soderbergh per esempio) sorgono spontanei. Perché, se e vero che lo stile della regia dichiara da subito la sua voglia di essere "moderno" e "cinefilo", con inquadrature troppo vuote o troppo piene, con un ritmo debitore del jazz e una ricerca cromatica vicina alla optical-art, e anche vero che l'operazione dà l'm-pressione di essere inutilmente gratuita, giusto per dimostrare la bravura di chi sta dietro la macchina da presa. II ritratto di una nevrosi totale, alla cui formazione concorrono misoginia e matriarcato, pressione lavorativa e paranoia made in Usa, non riesce a incarnarsi in un personaggio dotato di vero spessore, ma piuttosto in una serie di situazioni-gag che si snodano lungo una storia che potrebbe andare in ogni dove. Se la modernità narrativa della Nouvelle Vague faceva continuamente i conti con la necessita di smontare le ferree aspettative dello spettatore, in questo cinema post-moderno tutto sembra gratuito (quella pianola piovuta dal cielo) o inutile (il ricatto del telefono erotico, tanto esagerato nelle minacce quanto inconsistente nelle conseguenze). E il film finisce per assomigliare a una vuota dimostrazione di abilita tecnica. Per dimostrare che cosa (se non la propria vanita "d'artista") non si capisce.

PRIMA VISIONE
TORRESINO
- marzo/aprile 2003