Jallel e i suoi fratelli, i sans papiers. Una volta c'era il lucano Rocco nella Milano boom Anni Sessanta oggi c'è questo bravo ragazzo algerino che si trova a Parigi, strappa un permesso di soggiorno e poi finisce nella banale odissea quotidiana dei vu' cumprà che vendono frutta e tulipani nei mezzanini del metró. Dice il deb-regista Abdel Kechiche
, premiato l'anno scorso a Venezia, che non esistono immigrati clandestini, ma soltanto esseri umani che cercano di sfruttare un diritto fondamentale quello di circolare liberamente. Un tema che il cinema tratta da sempre, basta ricordare
America America
di Kazan oppure il capolavoro letterario di Henry Roth Chiamalo
sonno, ma oggi la libertà di circolare è messa a dura prova dal contrasto globalizzato» tra i Nord e i Sud del mondo e il tema dell'immigrazione clandestina è all'ordine del giorno di qualsiasi governo, a partire dal nostro.
Tutta colpa di Voltaire, al di là dell'ironia illuministica del titolo che denuncia il falso liberismo, ha un approccio molto umano al problema della convivenza nell’efficace descrizione di un qualunque povero Cristo che le tenta tutte per campare, ma che in Francia può in qualche modo essere aiutato anche dalle strutture e dal volontariato. Nel suo «albergo dei poveri» Jallel incontra, senza chiedere pietà allo spettatore, amici di ogni ordine, grado e follia, tenta di farsi sposare a scopo cittadinanza, va in clinica per depressione sotto falso nome e ne esce con una ninfomane patologica alle calcagna che non lo lascia più vivere. Fino a quando un giorno, per caso, la polizia lo becca con i tulipani in mano e lo rispedisce a casa. La vita improvvisamente finisce con un foglio di via. Giusto? Dopo una prima parte istruttiva, mossa, appassionata ma non retorica, di cui diventiamo complici, il film si allunga, si fa monocorde e monocromo psicologicamente, cadendo nel trabocchetto di questo amore molesto e ripetitivo gestito da un'attrice tutta di maniera e sopra le righe, Elodie Bouchez che tampina il povero e bravo Sami Bouajila, dalla manicure perfetta, forse come nemesi e pena di contrappasso per aver egli appena interpretato un gay felice in
La strada di Felix. Il regista, attento al fattore umano e al piacere del racconto, riesce a suscitare simpatia e comprensione in un film in cui batte e si stupisce il cuore e non si sventolano ideali o partiti.
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