Il suo nome è Tsotsi
(Tsotsi) |
miglior film straniero |
da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro) |
È una bellissima sorpresa questo film sudafricano dell'avv. Gavin Hood, ispirato dal libro di Athol Fugard. Sguardo originale e impietoso sulla Johannesburg di oggi, con stile neorealista che si fa per incanto fantastico quando riesce a riprendere qualcosa di interiore, misterioso. La redenzione a vista del banditello di strada (uno tsotsi), che nel ghetto nero ruba un' auto con un neonato a bordo e poco alla volta gli si affeziona, scoprendo una coscienza e un' innocenza. Il romanzo fu scritto nell' apartheid del '50; il film è più ottimista, ma non fa sconti sulla violenza: la democrazia del Sud Africa vuole oggi speranza nonostante l' Aids (25%) e la disoccupazione (40%). Avventura umana esemplare, vissuta con totale adesione da Presley Chweneyagae. Denuncia non manichea, spettacolare nel meglio: trasmette il cambiamento che esprime, al di là di ogni regola etico-sociale. |
da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Il
diciannovenne Tsotsi di Johannesburg non conserva ricordi del passato;
anche il suo nome è uno pseudonimo, che nel linguaggio del ghetto
significa "bandito". Dopo alcune efferatezze, come un'aggressione in
metropolitana e il pestaggio di un amico, il criminale spara a una donna
per rubarle l'auto. Sul veicolo trova una sorpresa: un lattante che gli
cambierà la vita. Contro l'immagine che ha di sé, Tsotsi prova l'impulso a
prendersi cura del piccolo: lo fa allattare da una vicina; si spinge a
tornare nella ricca casa dei suoi genitori pur di rifornirlo di corredino
e generi per la prima infanzia. In realtà, s'è innescato un processo
d'identificazione col fantolino che era un tempo lui stesso; e il film ce
lo mostra con zelo didascalico, attraverso flashback deputati a
ripristinargli i file della memoria.
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da Il Sole 24 ore (Aldo Fittante) |
Circondato
dai poliziotti con le armi spianate, Tsotsi (Presley Chweneyagae) alza le
mani. La macchina da presa gli gira intorno e lo riprende di spalle, dal
basso. Ora, le sue braccia tese non valgono più solo come segno di resa,
ma anche come una sorta di riconciliazione con se stesso: con quello che
non è potuto essere, e con quello che forse diventerà. Così, su quest’immagine
d’una speranza nuova, si chiude
Il suo
nome è Tsotsi. |
anteprima |
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TORRESINO - 3 maggio 2006 |