Thirteen - 13 anni
Catherine Hardwicke - USA 2003 - 1h 40'


sito ufficiale

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

       Basta sfogliare una delle tante riviste italiane destinate alle pre-adolescenti: la "girl culture" ce l'abbiamo in casa. E' quel modo di vedere le cose preconfezionato dai venditori di merci, che costringe le ragazzine a essere istericamente all'altezza delle aspettative di tutti: per farne, attraverso i grimaldelli di "sesso" e "shopping", delle docili consumatrici. Thirteen-Tredici anni è il primo film a rappresentare il fenomeno (dilagato, più che dilagante) e lo fa adottando lo schema del racconto di (tras)formazione. La tredicenne Tracy vive ancora come una bimba, circondata di Barbie e orsetti di pelouche. Per avviarne la metamorfosi in teen-ager ribelle è sufficiente un gesto d'attenzione di Evie, tipetto carismatico e sexy considerato "la ragazza più calda della scuola". Tracy cambia linguaggio, modo di vestire, atteggiamento; salta le lezioni, sperimenta la droga, compie piccoli furti, mentre le sue quotazioni presso i coetanei maschi salgono alle stelle. Mamma Holly Hunter non sa più che pesci pigliare. Pian piano si scopre che la mitica Evie, in realtà, è una ragazza sola, in sofferenza d'amore materno. Catherine Hardwicke ha il merito di abbordare l'argomento in maniera realistica, tenendosi alla larga tanto dal moralismo quanto dal pietismo. Ed è anche brava a mostrare l'essenza della "girl-culture": con la sua cinepresa mobile, nervosa e ansiosa, come le giovanissime interpreti (patetici cloni di Britney Spears e J-Lo.) che accompagna lungo le false vie per il paradiso delle fanciulle.

da Il Manifesto (Antonello Catacchio)

       Nelle sale Thirteen, l'esordio cinematografico di Catherine Hardwicke mette a fuoco il turbinio dell'adolescenza con un'autentica partecipazione emotiva che le fa evitare soluzioni facili. Con Holly Hunter avere tredici anni nel 2003 non è cosa facile. Non lo è mai stata. La pubertà è un'età a suo modo mostruosa. A casa il letto è ancora dominato da un orsacchiotto. La Barbie è poco distante. Dentro però si scatenano pulsioni praticamente inarrestabili. Che mamma non può capire. Lei non ha mai vissuto quell'età o più probabilmente se l'è dimenticata, presa dai mille problemi della sopravvivenza quotidiana nella giungla contemporanea. Poi c'è la scuola. Bisogna farsi accettare. Avere un atteggiamento cool. E capire come funziona tutto. Si può ancora sentire in bocca il sapore dei denti da latte, ma affiora un'irresistibile voglia di piercing sulla lingua. E a scuola c'è Evie. Il massimo. Per come si veste, si comporta, se ne frega. Questo è il mondo di Tracy. Non vede l'ora di staccarsi dalle gonne di mamma, e subito si rifugia nelle minigonne di Evie. Il suo nuovo mito. Con lei assapora la trasgressione, la scoperta di nuovi mondi e nuovi linguaggi e l'affrancamento. Eppure Evie avvolta nelle sue mise mozzafiato non è quel che appare. Dietro la mitica facciata si nasconde un'opportunista, bugiarda, profondamente sola e infelice. Incapace di capire qualsiasi valore umano che implichi uno straccio di impegno e di fiducia. Ma ci vuole tempo per capire tutto questo. E il tempo a tredici anni sembra non bastare mai. C'è fretta. Una gran fretta di cominciare a vivere la propria vita, non quella che vorrebbe farti vivere mamma. Single, oltretutto. Senza lavoro fisso, per giunta. Totalmente incapace di capire per definizione. Catherine Hardwicke in Thirteen, il suo film d'esordio, ha deciso di raccontare tutto questo turbinio. Non è una ragazzina Catherine, neppure una che non sa cosa sia il cinema. Lo pratica da anni, con successo, seppure con il ruolo di costumista (Vanilla Sky, Three Kings). Poi la vita disegna un itinerario bizzarro. Il suo nuovo compagno ha una figlia tredicenne, ribelle come da copione. Catherine è incuriosita, vuole scuoterla dall'apatia in cui la figliastra sembra invischiata. La spinge a scrivere. Il risultato di quello scritto è alla base del film. Non solo una forma stravagante quasi terapeutica, ma uno sbocco concreto, una via d'uscita reale. Catherine utilizza i suoi rapporti nel giro, trova Jeffrey Levy Hinte, produttore di Laurel Canyon, con cui ha lavorato e questi si convince della validità del progetto. Catherine e la figliastra Nikki firmano la sceneggiatura a quattro mani. E Nikki interviene anche come interprete nei panni dell'inarrivabile Evie, la cattiva ragazza. Quelle che arrivano dappertutto, mentre le brave ragazze vanno solo in paradiso. Evan Rachel Wood rileva invece il testimone della smarrita Tracy, costretta a un corso accelerato di crescita. A loro si aggiunge una sublime Holly Hunter come mamma, perfetta nel suo essere più smarrita della figlia teenager, eppure costretta dalle circostanze e dall'anagrafe al suo ruolo di responsabilità. Thirteen è uno di quei film in cui si riesce a respirare il profumo dell'autenticità, nonostante si tratti di fiction, di Los Angeles e di tutte quelle cose che il cinema sembra averci già mostrato. Proprio perché non c'è solo la superficie, le citazioni d'obbligo, i luoghi comuni, tutti elementi che pure entrano in campo. C'è compassione per quella dimensione esistenziale, nel senso che traspare chiaramente una partecipazione emotiva di fronte ai rivolgimenti che la maggior parte degli adulti risolverebbe con un'alzata di spalle. Tutto questo senza mai abdicare al proprio ruolo di regista o di persona grande. In questo Hardwick rivela una sensibilità rara e per quanto siano problemi loro, sarebbe curioso sapere che fine fatto il rapporto umano tra Catherine e Nikki, anche dopo che tra loro non esisteva più il rapporto di parentela acquisita. Di certo Nikki deve avere un debito di riconoscenza nei confronti della sua compagna più grande. Ma forse è soprattutto a Catherine che spetta il compito di riconoscere di essere stata fortunata per avere intuito un modo di rapportarsi, ma soprattutto di avere trovato una ragazzina capace di guardare il mondo con occhio disincantato e lucido. Perché forse quell'apatia era solo il rifugio di chi non sa bene che pesci o che strada pigliare. Perché il mondo che prospettiamo ai nostri cuccioli in via di diventare adulti non è proprio il migliore tra quelli possibili.

TORRESINO - gennaio 2003