The Truth About Charlie |
da Il Manifesto (Roberto Silvestri) |
«Aridatece la monnezza!» Un pubblico confuso e inebriato della propria volgarità, accolse in una selva di fischi, urla, frizzi e lazzi, The Truth About Charlie, l'ultimo capolavoro di Jonathan Demme che, dopo un anno di attesa, riceveva il battesimo nero italiano, non in una mostra d'arte, ma, qualche settimana fa, nelle arene gladiatorie del Fantasfestival di Roma. Ora è nelle sale normali, soprattutto in quelle più scomode, introvabili e clandestine... Va scovato e affrontato. 1. Demme è uno yankee che si è esposto per la pace. 2. Il film può far male, non per le tonnellate di citazioni cinefile che incorpora, ma perché è più che pauroso. Forse ha a che fare con l'annichilimento della «legge della viseità» che Guattari e Deleuze avevano scoperto (Mille piani) come centrale e ordinatrice per la figuratività occidentale e cristiana, dal rinascimento prospettico all'astrattismo. Parete bianca e buco nero. Viso e occhi. Perfino nell'adorato Truffaut di La mia droga si chiama Julie Belmondo dice di laghi e colline toccando naso e palpebre di Chaterine Deneue...Il primo piano del divo come organizzazione degli spazi, viseità replicata nelle regole del paesaggio, del sociale. Qui niente divo, niente ordine, niente paesaggi. Niente visi. Ma insorgenza di corpi. Henry Mancini cancellato da una colonna sonora global-ibrida che fa più effetto di un rito new-vudu: Angelique Kidjo, The Soft Boys, i pakindiani Lahsa, Sparklehorse, Gotham Project... Dopo l'estetica cool, la commedia-thriller - set magnetico Parigi (Bertolucci, De Palma, Jordan melvillianodi The good thieft...), modello principale Sciarada di Stanley Donen, 1962 (di cui è remake e make-up) - racconta il salto nel vuoto di Regina (Thandie Newton), «una donna in pericolo», perseguitata - su un tavolo di montaggio che tortura ogni certezza ritmico-spaziale - da una serie di mostri. Inquietanti figure bugiarde, avide e ambigue: il marito (Charlie), che lei vorrebbe lasciare e che ritrova, dopo una vacanza ai Caraibi, cadavere, e con passato d'avventuriero dalla quadruplice identità; la poliziotta ruvida (Christine Bisson), i servizi segreti Usa (Tim Robbins), i corpi speciali della «polizia globale» ovvero i criminali della «Giustizia duratura». Ma tra i loschi e avidi figuri che perseguitano Regina, perché deve nascondere i diamanti per milioni di euro che Charlie agguantò, il più subdolo e pericoloso pare a un certo punto proprio il bel tenebroso Joshua (Mark Wahlberg), nelle cui braccia solide Regina s'è rifugiata d'intuito... Come Cary Grant di Il sospetto... Infatti nel Donen, Grant era Joshua e l'olandesina-irlandese Audrey Hepburd, Regina. Newton e Wahberg sono alla stessa altezza tecnica, solo che ci sembrano più mostruosi e sopra le righe perché sopportano (e criticato) ben 50 anni di performances in più, dallo snodarsi della nouvelle vague (Tirate sul pianista, Anna Karina, Charles Aznavour, Magali Noel, Godard, la tomba di Truffaut su cui Demme scrive «merci», l'hotel Langlois...) a Wong Kar-wai e Twycker...Insomma è giusto che il pubblico in cerca di emozioni «primitive» o primordiali si ecciti particolarmente. Ciò che non si capisce e non si condivide è sempre primitivo. All'Induno di Roma, nei primi anni 70, fu ferocemente «linciato» dalla sensibile ricezione romana un altro oggetto pericoloso del primo tipo, La mia notte con Maud di Rohmer. |
da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro) |
I più accondiscendenti liquidano l'operazione come un arguto scherzo alla francese, che si nutre di citazioni nouvelle vague; gli altri, la maggioranza, preferiranno rimuovere dalla carriera onorata di Jonathan Demme The Truth About Charlie (titolo assurdamente in originale: la verità su Charlie), remake imbarazzante, pieno di tempi morti, di un delizioso giallo rosa d'annata, Sciarada di Donen con la Hepburn e Grant. La storiella della vedovella che scopre i loschi affari e le amicizie pericolose del marito, entrando in collisione con un tipo ambiguo cui alla fine cederà, è tutta mediata dalle macchinazioni di un regista che non ci crede, che preferisce lo stile spot da Parigi è sempre Parigi, che offre apparizioni alla Varda e ad Aznavour e sequenze intellettual chic, come il finale tutto giocato immobile sotto la pioggia... |
i lunedì del LUX febbraio-aprile 2004
Doppio spettacolo - stessa emozione
Non sparate sul remake!