Se
le prime due stagioni hanno efficacemente chiuso
il caso Rosy Larsen,
era rimasto, incombente, quel disegno dal tratto infantile, che così
tanto turbamento aveva creato in Sarah Linden.
La complessità di una straordinaria sceneggiatura ad orologeria si
concretizza ora nella terza stagione in cui quel disegno, quegli
alberi spogli, quel paesaggio lacustre appena abbozzato diventano la
chiave narrativa di un'indagine che va a ritroso nel tempo e induce
Sarah a dubitare della corretta soluzione di un suo caso precedente.
Ray, l'assassino che lei ha catturato, incriminato per uxoricidio,
aspetta ora nel braccio della morte, mentre il figlioletto, testimone
oculare e autore di quell'"ansiotica" immagine, ne disegna altre,
simili e più ricche di dettagli.
L'individuazione del luogo e il ritrovamento, nello stagno, dei corpi
di tante giovani ragazze brutalmente uccise non solo ha un impatto
figurativo sconvolgente (sono tutti avvolti nei sacchi rossi dei
rifiuti), ma dà il via ad un'indagine che sovverte ogni certezza
nell'animo di
Linden e che, nel dramma della prostituzione minorile,
stringe Holder in un sofferto coinvolgimento emotivo.
Qual è il legame con quell'indagine ormai conclusa? Ray è il vero
colpevole dell'omicidio della moglie? Chi è il "pifferaio di Hamelin"
che adesca e uccide le adolescenti borderline di Seattle?
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