Venezia 66° - Fuori concorso
Cos'è l'horror se non la materializzazione cinematografica delle nostre paure? Il buco nero dei nostri incubi trova concretezza in The Hole, diciassettesimo lungometraggio di Joe Dante, regista di culto di una generazione (L'ululato, Gremlins, Small Soldiers), giurato immancabile in questa 66° Mostra del Cinema che ha sdoganato il genere horror presentando anche [Rec]2 (Fuori concorso), La Horde (Giornate degli Autori) e, in concorso (!), Survival of the Dead.
"Il buco" di Dante sta in cantina, nella casa in cui si trasferisce la famiglia Thompson, mamma Susan e due figli, Dane e Luca, più o meno di sedici e dodici anni. Sul pavimento coperto di polvere c'è una botola chiusa con sei grossi lucchetti... Ovvio che i ragazzi non resistano ad aprirla, meno banale il senso di inquietudine che la cavità che scoprono, oscura e senza fondo, trasmette ai protagonisti ed al pubblico in sala. Perché un barattolo lasciato cadere non arriva a produrre alcun suono? Perché la bava del rocchetto da pesca si srotola senza arrivare a nulla? Le domande senza risposta sono l'anima del mistero e minimo qui è il contributo che l'acclamata visione in 3-D fornisce al film. La "profondità" in The Hole sta nello spessore della tensione che cresce assieme a nuovi interrogativi e nuove situazioni che assillano Dane, Lucas e la loro nuova amica, vicina di casa, Jane: una bambina dal look mortifero che piagnucola nella toilette, un pupazzo-clown che assilla (e assale) Lucas, una mastodontica figura minacciosa che prende corpo in casa Thompson.
Con rigore risolutivo Dante ci porta a comprendere come quelle materializzazioni non siano altro che il prendere forma delle paure dei tre (per Julie il ricordo angoscioso di un'amichetta precipitata davanti ai suoi occhi,, per Lucas un infantile rigetto per i clown, per Dane l'incombere di un padre violento ora rinchiuso in carcere), ma, al di là delle spiegazioni razionali, The Hole è vero, grande cinema "di genere", avvincente quanto basta e costruito con regia sapiente nel bilanciare punti di vista interni ed esterni al racconto. Memorabile in tal senso la scena in cui i ragazzi guardano sullo schermo tv quanto una videocamera, calata nella voragine in cantina, ha registrato. Tutto sembra buio e "vuoto", ma mentre i protagonisti distolgono lo sguardo, non spettatori vediamo apparire l'immagine di un grande occhio spalancato che osserva... |
ezio leoni - Il Mattino di Padova 12 settembre 2009 |