Il Sud al contrattacco.
Mentre la Lega manifesta per le strade del Lido, nelle sale il cinema
italiano si fa sentire parlando napoletano e siciliano. A fianco di
Giro di lune tra terra e mare
e I venusiani
è esploso ieri, in allucinata ironia, Tano
da morire, di
Roberta Torre, che ha aperto la Settimana della Critica. L'esordio
della trentacinquenne regista milanese ha davvero elettrizzato pubblico
e critica, spiazzati e divertiti di fronte a un kitsch musicale che
riempie di suoni e colori ogni fotogramma, che traduce in una sconcertante,
bizzarra sceneggiata fatti di sangue e superstizione di crudo realismo.
Lo spunto di Tano da morire è infatti storia vera: Tano
Guarrasi, uomo d'onore violento e passionale venne
ucciso nella guerra di mafia del 1988. Il film parte dal fatto per corredarlo
della triste storia delle sorelle di Tano, rigorosamente zitelle per
la sua tremenda gelosia. Il loro canto funebre è una liberazione,
ma quando una di loro, Franca, trova finalmente marito, al matrimonio
due killer (forse "inviati" dal fratello per conservarla pura)
la crivellano di colpi. Detta così Tano da morire è
ben poca cosa, ma Roberta Torre rivitalizza i luoghi comuni sulla mafia
innestando canzoni e balli da musical (c'è perfino lo schioccare
le dita alla West Side
Story), influenze tra il fumetto e la pop-art che stravolgono
qualsiasi retorica della denuncia e sbeffeggiano con caustico coraggio
ambienti e valori di Cosa Nostra. Il tutto al ritmo delle (azzeccatissime)
canzoni di Nino D'Angelo, idolo napoletano che forse con questa occasione
troverà riconoscimento presso un pubblico più vasto. Immaginatevi
allora un coro di grasse matrone palermitane che commenta gli eventi
durante la messa in piega dal parrucchiere (Samba
delle mogli), un omicidio gridato dai
parenti della vittima, ma stravolto dai molteplici punti di vista (compreso
quello del morto), uno scatenato balletto tra dignitari della mafia
con danzatori ammiccanti e gay (sulle note di un sardonico Simme
'a mafia). E infine il ritmo incalzante
di Rap 'e Tano,
ancora più sconcertante e vitale (se possibile) degli altri brani,
sgargiante e affastellato di personaggi-caricature davvero "mitiche".
Riuscirà la simpatia di Tano da morire a conquistare il
pubblico non festivaliero? Certo qui al Lido ce la siamo spassata tutti,
anche durante i titoli di coda, mentre per gli interpreti veniva evidenziata
la vera professione: panettiere, agricoltore, casalinga, disoccupato...
ezio leoni
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Il
Mattino di Padova
31/8/97
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