Strings
Anders Ronnow-Klarlund - Danimarca 2004 - 1h 32'

     In un festival che ha dato largo spazio, per la prima volta, al lungometraggio d'animazione, in alcuni casi anche consacrato da notevoli consensi di critica e pubblico (vedi il caso di Il castello errante di Howl) è passato pressochè inosservato e ignorato dalla critica un graziosissimo film danese, presentato nell'ambito della rassegna Giornate degli autori, Strings di A. Ronnow-Klarlund, autore di altri due cortometraggi The Eighteenth (1996) e Possessed (1999). Non resta che da augurarsi che trovi una distribuzione.
   Ciò che rende affascinante ed unico nel suo genere quest'opera è che gli attori sono marionette: non si tratta quindi di un film di animazione, ma neppure di una ripresa di un teatrino di marionette, in quanto queste ultime, mirabilmente scolpite nel legno, vengono filmate e fotografate dal direttore della fotografia Kim Hattesen, come se fossero attori in carne ed ossa, con virtuosistici movimenti di macchina e piani sequenza, con sapienti alternanze di piani lunghi e ravvicinati, secondo quelle che sono le regole della grammatica filmica. L'effetto ottenuto è quello di far dimenticare allo spettatore, anche più diffidente nei confronti del genere, la loro vera natura, permettendogli di abbandonarsi al flusso del racconto, di soffrire e gioire con i personaggi, gratificato dalla bellezza delle immagini. Il film è cioè una dimostrazione della potenza evocativa del cosiddetto “effetto di realtà” che l'immagine in movimento produce.
Il plot sviluppa, in un'ambientazione fantasy, un dramma vagamente shakespeariano: un re assassinato, un fratello diabolico, un figlio che si mette in viaggio per vendicare la morte del padre e scopre la verità riguardo al suo popolo oltre che, naturalmente, trovare l'amore.
I movimenti della macchina da presa ora avvolgono i personaggi, soffermandosi sui primi piani per “svelarne l'anima”, ora li accompagnano in vorticosi duelli o aprono al nostro sguardo scene d'insieme di furiose battaglie tra i due eserciti rivali, il tutto con un ritmo mozzafiato degno degli effetti speciali di un kolossal . Ma sicuramente, oltre alla indiscutibile perizia tecnica, è da apprezzare una scelta operata dal regista a livello di racconto e cioè quella di esibire per quanto riguarda i personaggi la loro natura di marionette, di pupazzi cioè mossi da dei fili, fili che diventano parte integrante della storia. Noi li vediamo, ma non vediamo mai chi li muove, perché escono dallo schermo; possiamo solo immaginare che qualcuno in alto nel cielo li muova e li controlli: quando uno dei personaggi muore il suo filo principale si stacca, quando i due giovani si amano i loro fili si intersecano. Il filo quindi sta lì per essere visto, sta lì perché fa parte della storia così come ne fanno parte i personaggi, perché questa è una storia di marionette e, se non fosse tale, si svolgerebbe in tutt'altro modo.

Cristina Menegolli - MC magazine 11  ottobre 2004