Una storia vera (The Straight Story)
David Lynch – USA 19991h 50’

  

   "Qual è la cosa peggiore della vecchiaia? È il ricordo di quando eri giovane". In fondo non c’è amarezza nelle nostalgiche parole di Alvin Straight, solo la consapevolezza che la vita scorre inesorabile e che il tempo si può fermare con la saggezza dello spirito e il revisionismo degli affetti. Attraversare mezza America a cavallo di un tagliaerba è l’unica sfida ancora possibile per il vecchio Alvin (un grande Richard Farnsworth), toccarci il cuore coi ritmi lenti e solenni di un pionerismo esistenziale inedito è la scommessa vinta da David Linch. Il suo impietoso scavare nelle orrori quotidiani del malessere yankee (da Cuore selvaggio a Twin Picks) si stempera qui in un’aura fordiana di indimenticabile soavità. Non solo una storia vera, ma, come nel titolo originale, la "retta" via di un cinema classicamente moderno.

ezio leoni -  luglio 2000


Successi a Sorpresa

CinemaEstate - LOGGIA AMULEA - PD luglio-settembre 2000

da FilmTv (Emanuela Martini)

    All'improvviso, dopo aver scavato nelle immagini di orrore che scorrono sotto la vita americana, David Lynch vola in superficie, a raccontare, per una volta, una storia "diritta", "lineare", "vera". Non che le altre lo fossero meno; e non che questa non celi, sotto il desiderio di quiete e di riconciliazione con se stessi, i rimpianti, i terrori, le ingiustizie di intere vite. Ma il vecchio Alvin Straight ormai ne ha viste troppe, negli anni trascorsi sulla strada e in quelli passati sul prato di casa e nel drugstore dietro l'angolo, per non aver raggiunto la misura di quel pochissimo che veramente vale, per non avere il coraggio di compiere un gesto che lo riporti a "casa". «Qual è la cosa peggiore della vecchiaia?», gli chiede uno dei rari giovani che incontra sul suo cammino. «È il ricordo di quando eri giovane», risponde Alvin, che ha nel cuore l'immagine di se stesso e il fratello, seduti insieme a guardare le stelle. Prende il tagliaerba e parte, attraversa a passo di lumaca strade, campi di mais, cieli, il Mississippi. Incontra gente che gli racconta i propri incubi personali, incubi di tutti i giorni, quelli che pesano e sempre ritornano un attimo prima di deviare sulle strade perdute. C'è, eccome, l'orrore, in Una storia vera; ma c'è anche la saggezza che, più o meno, ci fa tirare avanti e invecchiare; c'è la tristezza lancinante sul volto di che guarda fuori dalla finestra e rivede sempre un bambino sul prato; c'è la fatica silenziosa di andare d'accordo con il passato. È bellissimo. Elementare (nel senso più alto del termine). È John Ford che torna sulla strada, si immerge in un paesaggio sempre uguale, cerca la gente comune, davanti a un bicchiere di birra i ricordi strazianti degli uomini uccisi in guerra decenni prima, davanti a un fuoco acceso all'aperto la voglia di aiutare una ragazza dispersa. È Ma' Joad (Furore - The Grapes of Wrath) con la sua ostinazione a tenere insieme la famiglia. Anche se, poi, qualcuno se ne va sempre solo sulle strade d'America.

da L'Unità (Michele Anselmi)

   Storie vere dall'America profonda. Ci sono quelle che finiscono male (Boys Don't Cry) e quelle a lieto fine, o quasi, come Straight Story, ribattezzato per l'Italia proprio Una storia vera. Lo firma un David Lynch in stato di grazia, e fuori dai cliché cari ai cinefili. Chissà cosa ha spinto il regista di Cuore selvaggio a girare questa ballata semplice e toccante ambientata nelle pianure di un'America rurale dove ancora si muore di vecchiaia. Il titolo originale è un gioco di parole: significa «una storia lineare», ma anche «la storia di Straight», dal cognome del protagonista realmente esistito, un farmer di Laurens, Iowa, che nel 1994, a 73 anni passati e affetto da diabete, si mise in testa di raggiungere il fratello infartuato a Mt. Zion, Wisconsin, a bordo di un minitrattore John Deere. Quasi 700 chilometri, a una velocità di 7 km/h: fate voi il conto del tempo che impiegò quel vecchio testardo per mettere la parola fine a un rancore familiare troppo a lungo covato. Cappello da cowboy, stivali e giaccone a scacchi, Alvin Straight incarna nell'affettuoso omaggio di Lynch (su sceneggiatura della Compagna Mary Sweeney) un condensato di virtù americane, forse lo spirito del West o di ciò che resta di esso; ma è la superba prova di Richard Farnsworth, caratterista di vaglia chiamato solo ora, quasi ottantenne, a un ruolo da protagonista, a fare di lui un personaggio memorabile. Metaforicamente in viaggio verso la morte, Straight ricorda altri illustri vecchietti on the road raccontati dal cinema (l'Art Camey di Harry & Tonto, il Mastroianni di Stanno tutti bene) ma qui c'è qualcosa di più. Allontanandosi dal suo mondo visionario e ossessivo, il regista si intona al respiro e al colori di un'America contadina raccontata con partecipazione. E compone quasi un elogio della lentezza, ma non alla Kundera: va lento Straight, macinando chilometri col suo incredibile veicolo, va lenta la figlia Rose (Sissy Spacek), colpita da balbuzie per via di un trauma familiare, va lento il film, esponendosi a un discreto rischio commerciale in questi anni di gasata velocità. Eppure non si guarda mai l'orologio nelle quasi due ore di proiezione, in virtù di un sentimento quieto e pacificato che regala, sul piano cinematografico, momenti da antologia: lo struggente duetto al bar sul tema dei ricordi di guerra, l'incontro fatto solo di sguardi con l'ispido fratello Lyle (Harry Dean Stanton), il bivacco attorno al fuoco in aiuto di una giovane autostoppista incinta... Magari c'è chi stenterà a riconoscere la mano di Lynch in questa stoica riflessione sulla vecchiaia che sembra uscire da una canzone texana di Guy Clark, anche se poi dalla partitura vagamente country affiorano inquietanti segnali di disagio, follia e stravaganza, in linea con la cineleggenda del regista.

da Sette (Claudio Carabba)

   Sono aspre e solitarie le vie che vanno dall’Iowa al Wisconsin e Alvin Straight (il bravissimo Richard Fransworth) le percorre sopra un tagliaerbe. L'uomo, vecchio e malato, può guidare solo quel mezzo; e lo farà fino al punto in cui potrà tornare a guardare le stelle con il fratello, perduto anni prima. E' dolce e malinconico il David Lynch di questo affascinante Una storia vera, ma non pensate a svolte e redenzioni. Segnali allarmanti (un rogo, un cervo morto) scandiscono il cammino di Alvin. Per andare oltre l'ostacolo e superare la strada sbarrata, bisogna sempre avere un cuore testardo e selvaggio.

scheda CGS marzo 2000
Don BOSCO