Un
viaggio alla scoperta del luogo remoto dove si è spezzato il sogno di un
amore, di un angolo di mondo insanguinato così diverso da quello che ci
restituiscono giornali e notiziari. Un viaggio nel passato e nel presente,
alla ricerca di se stessi, di un po' di pace, di uno sguardo nuovo con il
quale guardare la vita che verrà. Con
Una storia sbagliata (...), il
regista Gianluca Tavarelli affronta un doloroso viaggio di formazione, una
presa di coscienza che vede protagonista una donna impegnata della
difficile elaborazione di un lutto, in un percorso dove la paura e la
rabbia lasceranno il posto alla speranza, al bisogno di condivisione.
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Stefania
e Roberto vivono una storia d'amore coniugale serena fino a quando le
continue ripartenze di lui per missioni militari all'estero non iniziano
ad incrinarla. Ora Stefania, infermiera pediatrica, decide di recarsi in
Iraq con una missione umanitaria. Lo scopo dell'equipe medica è quello di
intervenire su bambini affetti dal labbro leporino sollevandoli così dallo
stato di pesante emarginazione in cui le loro comunità li hanno relegati.
Quello di Stefania è però soprattutto un altro: trovare chi ha aiutato un
kamikaze che portato morte e distruzione e, possibilmente, arrivare ai
suoi familiari.
"Cos'altro vi serve da queste vite/ora che il cielo al centro le ha
colpite/ora che il cielo ai bordi le ha scolpite". Questi sono alcuni
versi della canzone di Fabrizio De André che dà il titolo al film e che
possono inquadrare la vicenda. Perché Tavarelli, che torna al cinema dopo
una lunga assenza, è un regista che si è sempre occupato di 'vite'. Anche
quando ha fatto e continua a fare fiction televisiva di alto livello come,
ad esempio Maria Montessori - Una vita per i
bambini o gli episodi de Il giovane
Montalbano. Nelle sue opere si avverte sempre una passione e
una compassione (nel senso più alto del termine) nei confronti dei propri
personaggi. È quanto accade anche in questo caso perché la Stefania di
Isabella Ragonese e il Roberto di Francesco Scianna vengono accompagnati
nel loro viaggio attraverso la vita con una straordinaria sensibilità di
scrittura. Ciò in particolare vale per Stefania a cui la Ragonese offre
una variazione di espressioni che vanno dalla luminosa e ritrosa timidezza
della scena iniziale alla durezza di alcuni scontri verbali. Il montaggio
in alternanza tra passato e presente consente non solo di spiegare
sentimenti o decisioni dell'oggi ma presenta tutti i chiaroscuri di una
vita di coppia in cui uno dei due coniugi si trova sempre più solo senza
che l'altro ne sia davvero colpevole. La solitudine è uno dei temi forti
del film e quelle auto che si muovono nello spazio desertico diventano
segni del bisogno di trovare una ragione per ritrovare almeno se stessi.
Non è un film che fa concessioni alla retorica quello di Tavarelli: gli
scontri tra Stefania e la sua guida e interprete irachena non solo mettono
in luce la difficoltà di capirsi tra culture ma non fanno sconti né
all'una né all'altro degli interlocutori in una ricerca motivata da una
molteplicità di pulsioni al cui centro si trova (qui risiede l'ulteriore
elemento di originalità) una donna. Non però una donna soldato ma, in modo
molto più originale, semplicemente una moglie a cui Ragonese offre anche
un corpo che muta, con un profilo che diviene sempre più affilato. Come
una vita scolpita ai bordi.
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