La spettattrice
Paolo Franchi - Italia 2003 - 1h 40'


premio
CASA ROSSA

migliore attrice (BARBARA BOBULOVA)
miglior contributo tecnico (GIUSEPPE LANCI - fotografia)

   Questo primo lungometraggio del bergamasco trentaseienne Paolo Franchi, autore anche del soggetto (ed, in parte, della sceneggiatura) si presenta come un testo serio, silenzioso, giocato più sulle rarefazioni (sul togliere anziché sull’aggiungere), vicino nello stile a certo cinema francese, quello sofisticato di Sautet: temi da salotto ma quanto profondi! La spettatrice sembra una storia d’amore o meglio di amori che si intersecano, si intrecciano, senza saperlo ma, in realtà, è solo il racconto di alcune solitudini più o meno dichiarate, più o meno s-velate, che attendono solo di essere consolate, anche se sanno che non lo saranno mai - forse non lo vogliono - come mai saranno perdonate da sé e/o dagli altri, ignavi/ignari intorno. Gli animi vengono analizzati, messi impietosamente a nudo. Non c’è riscatto, non c’è perdono per nessuno, in fondo: ognuno gioca la sua parte, pirandellianamente, ad incastro, ma senza soluzione.
Siamo naufraghi, pare avvertire l’autore, in questo mare che è la vita dove talvolta si procede, spesso parrebbe a ritroso, per non approdare che ad un significante quanto doloroso nulla. Si continua a vivere, a sopravviversi senza creare veramente qualcosa, è solo un tirare avanti, magari in nome di qualcosa che nel passato ci è appartenuto e che non si possiede più, nell’illusione di consolarci con ipocriti surrogati che possono andare dalla parola scritta ad un amore che amore non è, solo appagamento momentaneo del corpo.
Davvero brava la Bobulova che pare essere cresciuta dalle ultime prove: i suoi sguardi, all’apparenza inespressivi, recitano con perfetta cognizione di causa la festa del noli me tangere per non volere soffrire che tanto l’avvicina al Daniél Auteuil di
Un cuore in inverno (non a caso ancora Sautet!). E forse non è altrettanto un caso la scelta del presunto/presumibile alter ego amoroso interpretato da una sempre impeccabile ed ineffabile Brigitte Catillon, che, in quel film del 1992, era la manager/chaperon della violinista Emmanuelle Beart: perfetta nel suo essere, apparentemente, al di sopra di quelle parti amorose che altro non sono che un ennesimo nascondersi a se stessi. Notevole, come punching-ball maschile, Andrea Renzi, che pure rende la precarietà del suo ruolo in maniera giudiziosamente schiva, senza prevaricazioni di sorta: in fondo il voyeurismo esistenziale di cui al titolo non è solo parte integrante della protagonista, è cifra che appartiene anche ai deuteragonisti, seppure in misura minore.
E la vita sembra passare accanto…

Maria Cristina Nascosi - MC magazine 13  agosto 2005