Questo
primo lungometraggio del bergamasco trentaseienne Paolo Franchi, autore anche
del soggetto (ed, in parte, della sceneggiatura) si presenta come un testo
serio, silenzioso, giocato più sulle rarefazioni (sul togliere anziché
sull’aggiungere), vicino nello stile a certo cinema francese, quello
sofisticato di Sautet: temi da salotto ma quanto profondi!
La spettatrice
sembra una storia d’amore o meglio di amori che si intersecano, si
intrecciano, senza saperlo ma, in realtà, è solo il racconto di alcune
solitudini più o meno dichiarate, più o meno s-velate, che attendono solo
di essere consolate, anche se sanno che non lo saranno mai - forse non lo
vogliono - come mai saranno perdonate da sé e/o dagli altri, ignavi/ignari
intorno. Gli animi vengono analizzati, messi impietosamente a nudo. Non c’è
riscatto, non c’è perdono per nessuno, in fondo: ognuno gioca la sua parte,
pirandellianamente, ad incastro, ma senza soluzione.
Siamo naufraghi, pare avvertire l’autore, in questo mare che è la vita dove
talvolta si procede, spesso parrebbe a ritroso, per non approdare che ad un
significante quanto doloroso nulla. Si continua a vivere, a sopravviversi
senza creare veramente qualcosa, è solo un tirare avanti, magari in nome di
qualcosa che nel passato ci è appartenuto e che non si possiede più,
nell’illusione di consolarci con ipocriti surrogati che possono andare dalla
parola scritta ad un amore che amore non è, solo appagamento momentaneo del
corpo.
Davvero brava la Bobulova che pare essere cresciuta dalle ultime prove: i suoi
sguardi, all’apparenza inespressivi, recitano con perfetta cognizione di causa
la festa del noli me tangere per non volere soffrire che tanto l’avvicina al
Daniél Auteuil di Un
cuore in inverno (non a caso ancora Sautet!). E
forse non è altrettanto un caso la scelta del presunto/presumibile alter ego
amoroso interpretato da una sempre impeccabile ed ineffabile Brigitte Catillon,
che, in quel film del 1992, era la manager/chaperon della violinista Emmanuelle
Beart: perfetta nel suo essere, apparentemente, al di sopra di quelle parti
amorose che altro non sono che un ennesimo nascondersi a se stessi. Notevole,
come punching-ball maschile,
Andrea Renzi, che pure rende la precarietà del suo ruolo in maniera
giudiziosamente schiva, senza prevaricazioni di sorta: in fondo il voyeurismo
esistenziale di cui al titolo non è solo parte integrante della protagonista,
è cifra che appartiene anche ai deuteragonisti, seppure in misura minore.
E la vita sembra passare accanto…
|