Un medico deve scoprire, parallelamente alle indagini della polizia su un efferato delitto, quale di due sorelle gemelle è una psicopatica assassina. È un piccolo classico del noir degli anni '40. Partendo da una solida e aguzza sceneggiatura di Nunnally Johnson, da un soggetto di Vladimir Pozner, R. Siodmak lavora bene di chiaroscuro. Esercizio di bravura di O. de Havilland in 2 parti "speculari". |
Il Morandini - Dizionario dei Film |
Lo specchio scuro narra di due gemelle, l'una normale e l'altra folle, una delle quali ha commesso un assassinio (la seconda, naturalmente, che però maschera la sua follia dietro perfette apparenze di normalità). Nessuno può dire quale delle due sia la colpevole poiché fra esse vige un'assoluta solidarietà e soprattutto perché l'innocente crede che l'altra non sia colpevole. In due scene chiave le gemelle sono mostrate ambedue riflesse in uno specchio. Nella prima la gemella A (colpevole) è inquadrata fuori e dentro lo specchio, mentre la B (innocente) è semplicemente riflessa, poiché la sua immagine reale è fuori campo. Nella seconda scena avviene l'inverso: la B è seduta di fronte allo specchio e ne viene riflessa mentre la A è solo riflessa mentre è in piedi fuori campo vicino all'altra. L'occhio dello spettatore, già perplesso di fronte alla costante presenza del tema del "doppel" nel film, ne esce qui addirittura confuso: la sensazione è che ormai non importi più chi delle due è la folle e l'assassina poiché la somiglianza uguaglia la forma e la materia. Si tratta di una perfetta esemplificazione delle affermazioni di Freud in merito al tema del "doppel" in relazione al concetto di "perturbante" Ma soprattutto l'occhio coglie un complesso intrecciarsi di sguardi che non restano relegati nel campo dello specchio, e nemmeno in quello della macchina da presa, ma che penetrano lo schermo all'inverso, attraverso un campo che si pensava inviolabile, divenendo l'occhio dell'occhio spettatoriale. L'implicita domanda che tale sistema di sguardi pone è: chi guarda chi? E ancor più: in questo intrecciarsi di osservazioni il cui soggetto sfugge continuamente alla stessa stregua del loro oggetto, il vero osservato, non è in realtà colui che crede di essere l'esclusivo osservatore, cioè lo spettatore? Qualcuno obietterà che Lo specchio scuro non è un film dell'orrore. Ciò è vero nel senso che in esso non intervengono componenti di carattere soprannaturale. Ma almeno da Henry James in poi sappiamo bene che l'orrore non è la conseguenza dell'osservazione dell'inspiegabile in termini razionali, bensì l'oscillazione fra tale possibilità e quella, antitetica, di una realtà che sembra non reale. In una parola, l'orrore è l'incertezza sull'orrore. Un passo in più e un'opera come quella di Siodmak giunge a dirci che l'orrore, nella miglior linea freudiana, è il perturbante (salve restando le osservazioni fatte da Freud in apertura al suo famoso e splendido saggio Il perturbante del 1919): non lo schifo, il disgusto, la repulsione davanti all'anomalo, ma la scoperta, la sensazione della "non-familiarità" che scopriamo in noi davanti alla stessa normalità. E dunque, che tutto il cinema sia soltanto cinema dell'orrore (o del perturbante)? Che tutto il cinema, cioè, instauri a livello psichico — e sia pure in diversa misura — la sensazione dell'"Unheimlich" freudiano? |
Franco La Polla - (bozza) Belphégor |
AMICHE? RIVALI? CERTO SORELLE - ottobre-dicembre 2009