A
qualcuno ha richiamato alla memoria Giungla
d'asfalto,
altri hanno tirato in ballo l'influenza di Tarantino, c'è chi
ha citato l'Orson Welles di Rapporto
confidenziale.
Certo è che I
soliti sospetti,
opera seconda di Bryan Singer è un fior di giallo, intrigante
e incalzante, violento per ellissi ed apertamente cinico, aggrovigliato
nell'intreccio, ma accuratamente oliato nei meccanismi del racconto.
L'inizio è folgorante: al molo di San Pedro, California, un uomo
con le gambe spezzate dà fuoco ad una miccia di benzina. La fiamma
percorre il ponte della nave, l'esplosione è imminente. Ma il gioco
narrativo prevede subito un'interruzione, un tocco ironico, una nuova escalation
per mettere a fuoco e fiamme lo schermo. E subito anche la diegesi ci spiazza:
una voce fuori campo prova a narrarci la cronaca di quella notte, la vicenda
si sposta in un ufficio di polizia per uno stringente interrogatorio, il
racconto passa in flashback, l'intrigo prende corpo.
Chi tira i fili del gioco? Quanto è ambiguo il personaggio interpretato
dal fascinoso Gabriel Byrne? Chezz Palmintieri riuscirà a trovare
il bandolo della matassa tra il blaterare del pavido Kevin Spacey? Chi
è (se esiste) il malvagio Keyser Soze?
Fin troppo furbo nel mescolare le carte dell'enigma, ma efficacissimo nel
suo puzzle di personaggi, rapine, sospetti, investigazioni, in USA
Usual
Suspects è già un cult-movie, apprezzato da critica e
pubblico. Piacerà altrettanto allo spettatore italiano? Di sicuro
l'emozione dello spettacolo è garantita, per gli appassionati del
genere è un appuntamento imperdibile e, per tutti, cosa chiedere
di più ad un giallo che, come esigeva John Huston, riesce ad inchiodarvi
per due ore alla sedia?
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