Volker Schlondorff dopo alcuni anni di riflessione torna sui corpi e sui luoghi
del terrorismo tedesco, tracciando il percorso della diaspora di una terrorista
dal suo arrivo in città per partecipare alla lotta armata, sino al tragico
epilogo post crollo del muro. Il regista non si assegna il ruolo di giudice, ma
attraverso una storia vera romanzata mostra lo sbriciolamento di un'utopia rosso
sangue e le profonde contraddizioni di coloro che contribuirono a crearla. Il
sapore che resta nello spettatore è quello amaro di scoprire che tutto ciò che
rimane di quelle vicende è un cumulo di vite buttate nella spazzatura;
innanzitutto quelle delle vittime del terrorismo e poi anche quelle dei
carnefici, vite allo sbando sfruttate dai servizi segreti di mezzo mondo e in
fondo intrise anche loro di quella morale borghese e imperialista contro cui
credevano di lottare. È un film intenso e disarmante, con il colore plumbeo di
quegli anni e che disegna un desolante ritratto della vita all'Est dove il
sospetto e il tradimento erano il pane quotidiano di una vita grigia in cui il
massimo divertimento era una gita fuori porta con una Trabant... |
Il cinema tedesco non
si è ancora riconciliato con gli anni di piombo. All'ultima Berlinale ha
presentato in concorso Baader;
due anni fa, sempre a Berlino, fu la volta del
Silenzio dopo lo sparo,
che alla vicenda Baader Meinhof è largamente ispirato. Il film comincia con un
colpo in banca, messo a segno all'inizio degli anni Settanta da un gruppo di
terroristi. Tra loro Andi e la giovanissima Rita Voight (Bibiana Beglau),
innamorata di Andi quanto delle sue idee rivoluzionarie. Il seguito del film,
però, più che sulle imprese terroristiche è incentrato sulla doppia vita di Rita
e di alcuni dei suoi compagni, poi su quella della sola Rita. Riparata nella
Germania orientale, la giovane deve ricostruirsi una storia personale (una
"legenda", si diceva in gergo) sotto falsa identità: quella dell'operaia Susanne.
Nel compito la aiuta Hull, agente dei servizi segreti di Berlino Est. Rita si
trova bene nei panni della lavoratrice proletaria, al contrario della sua nuova
amica Tatiana (Nadja Uhl), che vorrebbe andarsene all'Ovest. Quando il suo vero
nome viene scoperto e la sua immagine è trasmessa dalla televisione della
Germania Occidentale Rita, sempre con l'aiuto dell'agente segreto, si vede
costretta a sparire e a cambiare ancora una volta pelle. Sotto il nome di Sabine
conosce un giovane, che vorrebbe sposarla; ma anche la nuova maschera è
destinata a cadere. Dopo il crollo del Muro, la exterrorista si ritrova sola e
braccata nel Paese ormai unificato, mentre i compagni di un tempo vengono
arrestati uno dopo l'altro. Ormai, i servizi segreti che la proteggevano non
hanno più alcun interesse per lei. Notissimo esponente del nuovo cinema tedesco
degli anni Settanta, Volker Schlöndorff (suoi Il
caso Katharina Blum e Il
tamburo di latta) non ha perduto la voglia di
fare cinema politico, genere ormai in disuso quasi ovunque. Girato col realismo
di un reportage, bene interpretato (le due attrici principali sono state
premiate con l'Orso d'argento), Il silenzio dopo lo sparo è un film equilibrato
e sincero, pervaso da un senso di tristezza per il destino di giovani partiti
con le migliori intenzioni, ma travolti dagli eventi. Rita e gli altri non sono
né i buoni né i cattivi della storia: sono piuttosto degli spiriti idealisti,
dei giovani pieni d'illusioni che, senza rendersene conto, finiscono per mettere
le proprie vite in balia di calcoli e di equilibri politici molto più grandi di
loro. |