Tenetelo
d’occhio questo film, che ha il pregio della grazia e i difetti del tono
trattenuto, fin troppo sommesso, per eccesso di discrezione. Mirabelle (Claire
Danes) è giovane, graziosa in vintage, con pochi soldi e parecchio stile.
Nel reparto abbigliamento dei
magazzini Saks di Los Angeles si destreggia
silenziosa tra supercommesse assai liftate. Vende un articolo che nessuno
cerca, guanti, ingerisce antidepressivi e si incarta con un artista
sdrucito Jeremy (il promettente Jason Schwartzman). Finché arriva lui, il
facoltoso Ray (Steve Martin), che ha il doppio dei suoi anni. Si seducono,
si attraggono, lui l’avverte che non sarà una storia a lungo termine. È
magicamente notturno e romanticamente light il film scritto, prodotto e
interpretato da Steve Martin e tratto da un suo romanzo breve (in Italia
lo pubblica Einaudi). Diretto da Anand Tucker con gusto ambientale, ha
sobbalzi di stile e invenzioni visive spesso intensi e qualche volta un
po’ troppo compiaciuti, ma eccelle nel raccontare l’inceppo amoroso in cui
cade volentieri l’uomo, soprattutto se maturo, quell’impossibilità di
riconoscere l’amore quando c’è e la facile illusione che fa soffrire. C’è
un tocco alla
Woody Allen nella fisionomia di Ray, che pensa di usare
gentilmente Mirabelle per passare il tempo e si accorge troppo tardi che
il tempo, appunto, è passato. Alla fine vincerà la goffa tenerezza
sull’esperta età adulta. La sensibilità di Claire Danes (capace di passare
da
Romeo + Juliet
a
Terminator 3: le macchine ribelli) si
adatta perfettamente al ruolo. |
La
commessa vende guanti da Saks Fifth Avenue, a Beverly Hills. Lunghi, in
stile Gilda. Quindi non ha molto da lavorare. L’articolo, lo aveva già
notato Philip Roth in “Pastorale americana”, per molte pagine ambientato
tra i guantai di Newark, non è dei più richiesti. L’ultima a far da
testimonial fu Jacqueline Kennedy, poi si è persa la razza. Contro le
regole, la signorina Mirabelle – pittrice nel molto tempo libero, perché
non conosce nessuno e abita in una casetta in capo al mondo – appoggia i
gomiti sul tavolo
e
fa scivolare il piedino fuori dalla scarpa scollata. Sarà l’origine
provinciale, sarà il delizioso sapore d’altri tempi che Steve Martin ha
voluto dare al suo racconto (esce da Einaudi), non la vediamo mai con
addosso un paio di calzoni. Solo vestitini stampati e gonnelle
svolazzanti. Alla sua educazione sentimentale provvedono l’irsuto Jason
Schwartzman, che al secondo appuntamento fruga nella tasca dei pantaloni
trovando una vecchia mentina invece del preservativo, e il solito Steve
Martin, che un pomeriggio le chiede consiglio sull’acquisto di un paio di
guanti lunghi, e due giorni dopo glieli fa recapitare a casa con un invito
a cena. La commessa della vicina boutique Armani fornisce buoni consigli:
“E’ sposato? Allora sfiniscilo con i pompini, e quando comincia ad
abituarsi smetti di colpo” (probabilmente, tratti da una versione
clandestina delle “Regole” che non va in libreria e funziona con il
passaparola). Risposta: “Non posso, sono del Vermont”. Il
giovanotto la porta a guardare la gente che entra al cinema (quando lei
decide che il film potrebbero anche vederlo, si sente chiedere in prestito
i soldi per il biglietto). Il corteggiatore con i capelli bianchi la porta
nei ristoranti lussuosi. Gli ingredienti sono dosati benissimo, la
malinconia e le gag si intrecciano a meraviglia, e quando il programma
radio dettaglia i tre modelli dell’abbraccio post-coitum capiamo che Steve
Martin, inteso come scrittore, ha l’occhio lungo sulle faccende di letto.
Se pensavate che l’ultima parola in materia fosse
“Quanto tempo dovrò stare qui ad accarezzarla, perché lei non si senta
trascurata?”, detta da Billy
Crystal in
Harry, ti presento Sally, molte
istruzioni per l’uso di signore e signorine ancora vi sfuggono. |