"Quando siamo andati da Channel 4 a chiedere
soldi per il film e abbiamo detto che era la storia di un gruppo di operai
in un cantiere, si sono messi a ridere e ci hanno cacciato. Siamo tornati
e abbiamo detto che si parlava di un cantiere, ma in realtà era
un'allegoria della società. Allora sona stati più disponibili.
In verità è un film sul lavoro edile"
L'"edilizia
sociale" di un maestro del cinema inglese quale è
Ken
Loach
(Poor
Cow,
Family
Life)
è un grido prima sommesso, poi disperato sulla situazione della
classe operaia e del sottoproletariato inglesi, su chi vive la disoccupazione
come uno stato di emarginazione congenito: gente che lavora sotto falso
nome per non perdere il sussidio, che accetta condizioni igieniche e
di sicurezza aberranti, che non può permettersi la depressione
("...è per chi ha i soldi, non per chi deve svegliarsi
presto alla mattina"), ma che conosce la fatica e la solidarietà,
la desolazione e la rabbia. Con uno stile asciutto, un taglio documentaristico
e la grinta amara del vecchio free cinema Loach guarda con impotenza
e disappunto il cinismo dispotico del sistema e fotografa con stupefatta
ironia le fiamme della vendetta e della rivolta. La sua voce e il suo
far cinema hanno ancor oggi la stessa caustica forza di denuncia che
avevano trent'anni fa: "Adesso la Tatcher non c'è più,
ma non è cambiato nulla. La sua sostituzione è stata solo
una manovra tattica dei conservatori per mantenere il potere... Nell'Inghilterra
degli anni Novanta, tutta tesa a difendere e promuovere la sua immagine
di democrazia liberale, i problemi sono gli stessi degli anni Sessanta"
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