Ci
ricorderemo di
Ricordati di me?
Forse è questo il grande problema di Muccino, anche lui come i suoi
personaggi ha un disperato bisogno di farsi ricordare. Farsi ricordare
come quel “nuovo regista” che all’inizio del millennio aveva rammentato un
po’ a tutti gli ultimi baci della propria vita. Il suo nuovo film parte da
quell’ Ultimo bacio, per raccontare
la storia di chi mette su famiglia, fa un figlio e poi un altro, e poi
questi figli hanno da fare la maturità e da compiere diciott’anni. La
storia di chi non fa l’artista, non diventa attrice come succede a Laura
Morante, e non diventa scrittore come capita a Fabrizio Bentivoglio.
Questi personaggi in due ore di film sbattono porte, urlano i loro motivi,
baciano labbra dimenticate, baciano labbra per avere un provino, baciano
labbra che non corrispondono; corrono per la felicità, corrono per fuggire
in una casa al mare, corrono per scappare di casa, telefonano per fissare
appuntamenti, per dirsi addio o per avvertire che non torneranno a casa a
dormire.
Tante sono le cose compiute da questi personaggi che è impossibile
annoiarsi. Apparentemente è un pregio: grande ritmo, bravi interpreti e
una storia che vorrebbe parlare a tutti. Perché in fin dei conti essere
ricordati ha qualcosa a che vedere con l’essere amati, e questo è un
desiderio che riguarda tutti.
E allora, cosa non va quindi in tutto ciò? Non va il fatto che questa
danza di parole, urla, temi, desideri sia talmente veloce da sfuggire a
ogni approfondimento. Ma Muccino mette le mani avanti e, citando Hegel,
spiega, per voce di una delle sue creature di celluloide, che “la vera
profondità sta in superficie”. Bella scusa e forse triste verità.
Rimane il fatto che la contraddizione di questo lavoro sta proprio nel
parlare di cose profonde e complesse con una superficialità da televisione
chiacchierata. Non a caso Muccino con il suo cast si è fatto tutte le
“messe cantate” della televisione, con una promozione porta a porta, che
ha bussato oltre al programma di Vespa, anche a Quelli che il calcio,
praticamente a tutti i Tg delle sei reti pubbliche-private (non va
dimenticato che il film è distribuito da Medusa, azienda di Berlusconi)
fino ad arrivare direttamente tra le braccia delle veline di Striscia
la notizia. Insomma secondo Muccino non vale nemmeno la pena di
approfondire queste contraddizioni, e ha sposato la politica di Oscar
Wilde: “Non m’importa se si parla bene o male, basta che si parli”.
Ecco questo è il grosso male di Ricordati di me, il male sta in
tutte le parole spese, tra televisione, stampa e pubblico che davanti a
questo lavoro avranno la sensazione di aver visto “il cinema italiano che
fa divertire ma che fa anche pensare”. E tutti parleranno dei loro
pensieri, e delle sensazioni provate nascoste tra i sorrisi. E si parlerà
tanto, troppo, e ci si sentirà tutti un po’ più intelligenti, come Muccino
che riesce alla sua giovane età a scrivere i pensieri dei padri, dei figli
e dei nonni. Muccino che quando si tratta di raccontare la tristezza
profonda dei suoi personaggi risolve tutto con una smorfia che dice e non
dice.
Il film di Muccino è una chiacchiera. Le chiacchiere si dimenticano, i
discorsi si ricordano, un po’ di più. |