Il riccio
(Le hérisson)
Mona Achache - Francia/ Italia
2009
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1h 40'
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«Non
lasciar uscire il gatto, non lasciar entrare la portinaia». Paloma ha
11 anni ma nulla le sfugge. Tanto più che tiene un diario filmato in cui
registra con la vecchia telecamera di papà tutto ciò che vede o intuisce.
A cominciare dai taciti ma ferrei precetti, come quello appena citato, che
regolano la sua esistenza ordinata, troppo ordinata, di altoborghese
parigina in erba. Paloma insomma è una ribelle, a un'età, in un'epoca e in
un palazzo che rendono la ribellione inconcepibile dunque invisibile.
Così, per non finire come i suoi familiari, ha deciso che a 12 anni si
toglierà la vita. Ma intanto nota e capisce tutto. Solo lei si accorge di
quelle regolette intrise di classismo e ammantate di buone maniere (dentro
il gatto, fuori la portiera); solo lei nota che, da quando va in analisi,
la mamma prende manciate di psicofarmaci; solo lei osa rimettere in riga
un ospite pomposo del padre deputato, colpevole di dire scemenze sul gioco
del Go (una delle scene più belle del film, nonché il suo cuore poetico).
Solo Paloma infine (puntuta, perfetta Garance Le Guillemic), sembra
accorgersi che quella portinaia dall'aria stanca e rassegnata (Josiane
Balasko) «non è ciò che sembra». Come dice lei stessa, col suo primo
sorriso, al nuovo vicino giapponese, un elegante e carismatico 60enne di
nome Ozu, addirittura (come il regista di Viaggio a Tokio caro ai cinèfili).
Che non tarderà a fare la stessa scoperta in un gioco di intese e segnali
fra lui e la portiera-cenerentola che comprendono il celebre incipit di
Anna Karenina («Tutte le famiglie felici si somigliano», etc.), ma
anche note meno romantiche come l'abitudine dei w.c. nipponici di emettere
musica per coprire i rumori corporali... Non era facile portare sullo
schermo L'eleganza del riccio di Muriel Barbéry (ed. E/O), best-seller
iperletterario (ma con leggerezza) articolato in una serie di monologhi.
L'esordiente Mona Achache sceglie la semplicità, ovvero la simpatia e la
vivacità, trasformando i monologhi nelle scene filmate da Paloma o nei
disegni che esegue a getto continuo. E accentuando il carattere da fiaba
gentile della vicenda (rititolata
Il
riccio
anche per sottolineare il dichiarato distacco della scrittrice dalla
versione cinematografica). Ne esce un film svelto, illustrativo, forse non
molto ambizioso ma a suo modo del tutto riuscito. Il che non guasta.
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Fabio Ferzetti - Il Messaggero |
Da un
romanzo non bellissimo e magari sopravvalutato, è sortito un film non
brutto ma sicuramente sottovalutato. Anzitutto dall' autrice de
L'eleganza
del riccio, Muriel Burbery, che ha scomunicato
l' opera, stroncata senza pietà, e ha intimato alla produzione di
sostituire la dicitura «tratto da» con la più generica «liberamente
ispirato». Come se per gli spettatori facesse questa gran differenza. Una
spiegazione un po' maliziosa di tanta furia è che la Barbery si sia
pentita d' aver venduto i diritti cinematografici troppo presto, quando il
romanzo non aveva ancora venduto milioni di copie, accettando la regia e
la sceneggiatura dell' esordiente Mona Achache. Una dose di calcolo è del
resto il difetto principale della scrittrice, peraltro compensata dall'
intelligenza e da un notevole sense of humour. Queste due qualità in
effetti si perdono non poco sullo schermo. Ma
Il riccio
ha altre qualità. |
Curzio Maltese - La Repubblica |
promo |
Non era facile
portare sullo schermo
L'eleganza del riccio
di Muriel Barbéry best-seller iperletterario articolato in una
serie di monologhi. L'esordiente Mona Achache sceglie la
semplicità, ovvero la simpatia e la vivacità (trasformando i
monologhi nelle scene filmate da Paloma o nei disegni che esegue a
getto continuo) con una apprezzabile capacità di dipingere con
pochi tratti, rispetto alle tirate filosofiche del testo, il
penoso senso della vita dell'ipocrita alta borghesia francese.
Bastano un mezzo sorriso o uno sguardo o una lieve esitazione di
tono alla Balasko per schiudere allo spettatore i mondi segreti di
sogni e idee e bellezza che al lettore erano raccontati in decine
di pagine. Da un buon romanzo (forse sopravvalutato) un film
svelto, illustrativo, non troppo ambizioso e per questo forse
meglio riuscito. |
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LUX
- gennaio-febbraio 2010
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