La
diciassettenne Claire, triste lavoro di cassiera in un supermercato, non
ama la realtà in cui le è toccato vivere. Così "ricama", ovvero si
racconta delle storie. S'inventa di avere un cancro e nasconde i suoi
bellissimi capelli rossi sotto un turbante d'aspetto arcaico. Sceglie di
restare muta. La ragazza è incinta, e questa volta non si tratta di una
fantasia. Forse vorrebbe abortire, forse no. E' totalmente smarrita quando
il film le fa incontrare la signora Melikian (Ariane Ascaride,
l'attrice-feticcio di Guédiguian), ricamatrice d'alto rango che lavora per
le grandi case di moda e maschera dietro uno strato di pudore le ferite
della propria vita. Tra le due donne comincia a intessersi una relazione
di complicità sottintese: una specie di specchio emotivo che le trasforma,
gradualmente, in madre e figlia. Se, all'inizio, Le ricamatrici sembra
battere la bandiera del naturalismo, l'arrivo di Claire dalla signora
presso la quale vuole lavorare cambia il tono della rappresentazione. Al
debutto nel lungometraggio, Eléonore Faucher applica le regole di madame
Melikian realizzando un film artigianale, preciso nei dettagli,
disalienato come il lavoro delle due protagoniste. Fotografate da Pierre
Cottereau, le immagini emanano un'impressione tattile; i colori assumono
un'importanza fondamentale; le luci sono sempre giuste. Consapevole di
poter lacerare il delicato tessuto del film, la cineasta non spinge mai
troppo sulla regia e adotta un montaggio sommesso. |