Spionaggio
e affetti famigliari. Un killer e il suo psicanalista. Parigi e
Venezia.
Quelques jours en Septembre
mescola il bello
e il brutto dell’esistenza, l’incertezza del vivere e il gusto della
buona cucina, il rancore e il desiderio di vendetta, la soavità della
poesia e la brutalità della politica.
Tutto comincia all’ombra della Torre Eiffel dove, in uno squallido
alberghetto si ritrovano Orlando (Sara Forestier), Iréne (Juliette
Binoche) e David (Tom Riley). L’una è la figlia di Elliot, un
misterioso (ex?) agente della CIA, l’altra è uno smagata spia
francese, amica di lunga data del padre della ragazza. Anche David è
figlio di Elliot, della sua seconda identità, dopo che, alla morte
della prima moglie, ha abbandonato in Francia Orlando e ha preso
cittadinanza americana… Ma non c’è tempo per troppe spiegazioni, né
per attendere il previsto arrivo di Elliot. William Pound (John
Tururro), killer feroce e bizzarro, piomba nella loro stanza e la
ronde spionistica ha inizio.
Nel plot e nella regia di Santiago Amigorena (un passato di
sceneggiatore, qui all’esordio dietro la macchina da presa) ci sono
tutti i clichet del genere ma c’è anche di più. C’è una continua
contraddizione delle aspettative dello spettatore (l’ansia che aumenta
per poi smorzarsi nel nulla, momenti di pausa che si concretizzano
all’improvviso in inaspettati crescendo di tensione), c’è l’introversa
personalità di Orlando che odia il padre e ha sempre una pistola per
le mani, c’è la soave presenza di David che degusta il vino, sceglie
con golosità i dolci, mangia e cucina con la passione del buongustaio,
legge e recita poesia con suadente sensibilità. Iréne adombra il suo
ruolo di spia in una rasserenante leggerezza di spirito (e negli
eleganti tratti del volto di una Binoche matura e calibratissima),
William Pound passa da crisi di professionalità (a cui corrispondono
surreali telefonate allo psicanalista) ad azioni di inesorabile
efferatezza, Elliot (Nick Nolte) resta fino alla fine una figura
enigmatica, un consulente finanziario sui generis, un agente che forse
fa il doppio gioco (per se stesso), il “padre” da ritrovare, da
comprendere, da eliminare.
E se Parigi è l’inizio, Venezia non può essere che la fine del
viaggio. Un viaggio anche iniziatico nel confronto esistenziale tra
Europa-Orlando e USA-David: memorabile l’enunciazione dei “segni”
negativi dell’essere americani, compresa una metafora sui dinosauri,
così presenti nel cinema hollywoodiano, proprio quale simbolo di una
(in)civiltà destinata a scomparire. Un viaggio anche sentimentale
perché Orlando e David fratelli, ma non consanguinei, arriveranno a
incontrare prima l’amore che il padre. Un viaggio infine “rivelatore”
perché, una volta concesso alla spy-story il giusto cruento epilogo,
Quelques jours en Septembre
mette a fuoco, assieme allo sguardo di Iréne, anche il nostro di
spettatori. Il misterioso segreto di Elliott si disvela solo
nell’ultima sequenza, sullo schermo di un televisore. La civiltà
americana non rischia forse l’estinzione ma, tra fiction e realtà,
quei giorni di settembre lasciano il segno.
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