Il prezzo della libertà
(The
Cradle Will Rock) |
da Il Corriere della Sera (Tullio Kezich) |
Si può amare l'America senza amare Bush; e Il prezzo della libertà sta lì a dimostrarlo. Nel maggio 1999 una giuria come al solito scriteriata negò a Cannes un riconoscimento al film scritto e diretto da Tim Robbins, pur accolto dal pubblico con un'ovazione. L'uscita americana fu un disastro, quella italiana avviene con quattro anni di ritardo. Eppure si tratta di una pellicola appassionata e originale, da non perdere. Cradle Will Rock ci riporta al luglio 1937 quando per impedire la prima dell'omonimo musical populista messo in scena dal giovane Orson Welles fu mandato addirittura l'esercito. La compagnia dovette rifugiarsi in un teatrino periferico e recitò una sola sera. |
da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
America, 1936. E' il periodo tra la fine del New Deal rooseveltiano e l'inizio del maccartismo. Mentre i grandi industriali americani sostengono i regimi fascisti in Europa (magari in cambio di tele firmate da maestri) e i sindacati manifestano per tutto il paese, gli artisti si battono per la libertà d'opinione, che editori come Rudolph Hearst e magnati come Nelson Rockefeller pretenderebbero d'imbrigliare. Orson Welles, appena ventiduenne, monta la controversa "The Cradle Will Rock" di Marc Blitzstein, commedia musicale sulla repressione in un centro minerario. Il comitato per le attività antiamericane sospende le sovvenzioni allo spettacolo. Frattanto, Rockefeller affida al pittore leninista messicano Diego Rivera il compito di affrescare la hall del suo Centro: ma si rende conto del proprio errore e fa distruggere il lavoro. L'ultimo episodio l'abbiamo visto recentemente - in Frida, che in parte si riferisce agli stessi eventi. Di quel film, ritroviamo gli stessi difetti nel Prezzo della libertà, terzo diretto da Tim Robbins e pieno dello zelo democratico del simpatico attore-regista (inviso, si sa, all'amministrazione Bush per le sue posizioni antibellicistiche). Ha tutte le ragioni del mondo, Tim, quando denuncia l'attegiamento degli Hearst e dei Rockefeller nei confronti delle dittature europee (rappresentate nel suo film da Susan Sarandon nella parte di Margherita Sarfatti, amante e ambasciatrice ufficiosa di Mussolini). Peccato che, come in Frida, anche qui la faccenda finisca per risolversi in una collezione di figurine d'epoca, tutte sovraeccitate e bizzarramente oscillanti tra una definizione melodrammatica (il marionettista Bill Murray, che anticipa la "caccia alle streghe" per amore della burocrate frustrata Joan Cusack) e una brechtiana (lo spettacolo teatrale) della materia. |
LUX
- giugno 2003