Il
più bel giorno della mia vita
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da La Stampa (Alessandra Levantesi)
La villa è ampia, armoniosa, confortevole: ma un tempo il giardino era ben curato e risuonava di trillanti vocine infantili. Adesso l´aspetto è un po´ fatiscente, il prato inselvatichito e c´è una gran quiete. Troppa. Virna Lisi vive sola nella grande casa coltivando la nostalgia di quando la famiglia era riunita: ormai il marito non c´è più e i tre figli hanno la loro vita, i loro problemi. Rimasta vedova dopo appena due anni di matrimonio, Margherita Buy ha riversato la sua nevrotica affettività sul figlio, che ne ha risentito ed è cresciuto un adolescente inquieto. L´avvocato Luigi Lo Cascio è un omosessuale che ha paura di confessarlo e questo gli impedisce di impegnarsi a fondo nella relazione sentimentale con Marco Quaglia. Sposata a Marco Baliani che l´ama e mamma gratificata di due femmine (una quindicenne e l´altra bambina), Sandra Ceccarelli sembra la più risolta eppure un segreto rovello l´ha trascinata nelle braccia di un altro, il veterinario Jean-Hugues Anglade. Con Il più bel giorno della mia vita Cristina Comencini torna al tema a lei caro della famiglia, luogo emotivo centrale dove si formano attitudini, piccole sicurezze e devastanti frustrazioni. Luogo da cui si fugge per cercare se stessi e a cui idealmente si torna per lo stesso motivo: in quanto è lì che è custodito il passato, è lì che è cominciato tutto. Stavolta però la cineasta non utilizza il tipico registro di commedia all´italiana messo tanto bene a punto in Matrimoni e Liberate i pesci, tentando la strada del film intimista dolceamaro. E, in un intersecarsi di punti di vista narrativi e in confondersi di dimensioni spazio-temporali, gioca su un piano stilistico ambizioso quasi da nouveau roman. Per esempio, con struggimento la Ceccarelli pensa ad Anglade che ha deciso di lasciare e il braccio di lui la circonda; oppure il bambino che fu si sostituisce all'adulto che è diventato e così via. Il più bel giorno è quello della comunione della figlioletta della Ceccarelli, che ne affida la memoria alla telecamera ricevuta in dono dalla nonna, ritraendo i genitori per l´ultima volta insieme. Il giorno più bello è quindi anche il più brutto, quando la felicità sta per spezzarsi. È in questi momenti che i sentimenti escono fuori a vivo, anche se il film non trova sempre lo stesso stato di grazia...
da Il Corriere della Sera (Tullio Kezich)
È da sessant'anni, ovvero dall'omonimo film di Vittorio De Sica, che nel cinema italiano I bambini ci guardano. La novità di Il più bel giorno della mia vita è che stavolta la bambina Maria Luisa guarda i grandi attraverso la videocamera avuta in regalo per la prima comunione. È legittimo intravedere in queste tremolanti sequenze una dichiarazione di poetica della regista Cristina Comencini (classe 1956), da tempo impegnata sui sentieri paralleli del film e del romanzo (è appena uscito il suo «Matrioska»). Figlia del grande Luigi, delicato poeta dell'infanzia da Incompreso a Pinocchio, Cristina si è comportata come se avesse prelevato la cinepresa dalle mani ormai stanche di papà per rivolgerla su di lui e sull'intera famiglia. È chiaro che il film non ha niente di autobiografico perché inventa un gruppo familiare molto diverso dal clan comenciniano (tutte donne, meno il patriarca); ma è evidente che sotto il velame palpita (ed è un valore) un forte sentimento di identificazione. Virna Lisi, radiosa come ai suoi bei dì, è la madre vedova di Margherita Buy (vedova anche lei, inconsolata e alle prese con un figlio difficile), Sandra Ceccarelli (moglie fedifraga del buon Marco Baliani e trepida amante di Jean-Hughes Anglade ) e dell'avvocatino Luigi Lo Cascio (omosessuale riluttante a uscire dalla condizione «velata»). Dopo mezz'ora di prologo, durante la quale il film sembra disperdersi in troppi frammenti, ecco la famiglia riunita: tutti a tavola nella villa di mamma, dove si è infiltrato anche il giovane amante dell'avvocato. Cadono le maschere, si intrecciano i rimorsi, sbottano le recriminazioni; ma non siamo dalle parti di Bergman, tutto si svolge all'italiana senza tragedie. Ed è magari un peccato che l'autrice, per visceralità di coinvolgimento, abbia trascurato stavolta gli accenti di commedia dei suoi film precedenti. Il risultato è diseguale nel senso che in questo tipo di conduzione polifonica alla Altman qualche personaggio emerge e qualche altro resta in ombra, qualche soluzione appare calcolata (vedi il telefonatore misterioso, ovvero Ricky Tognazzi, che risolverà i problemi della Buy) e i ragazzi confrontati agli adulti sembrano scritti con la matita. Lampi di memoria e fantasia alla Resnais nobilitano comunque un film sotto il doppio segno di ambizione e sensibilità.
LUX aprile-maggio 2002