La
piccola Lola, di
Bertrand Tavernier, racconta un’assenza. Quell’unica cosa che manca per
rendere felice la vita in comune di Pierre e Gérakllne: il bambino che non
hanno potuto avere. Ancora giovani, senza problemi economici, i due si
sono accorti da tempo di essere sterili. L’unica soluzione è dunque quella
di adottare un figlio.
II film inizia con il loro arrivo in Cambogia dove, queste sono le
informazioni, la faccenda può essere sbrigata senza eccessive difficoltà.
Ma si sbagliano, e di molto. Innanzitutto il Paese continua a essere
estremamente povero, dominato da una burocrazia ossessiva, e con ancora
aperte le ferite della follia omicida dei khmer rossi. E poi la
concorrenza è spietata: arrivano coppie non solo dalla Francia, l’ex
potenza coloniale, ma anche dagli Stati Uniti, e con un sacco di dollari
che, quando le pratiche da sbrigare sono in quantità enorme, servono
sempre per rendere più “scorrevoli” gli impiegati.
Per Pierre e Géraldine, come del resto per tutti gli altri, la prova si fa
subito ardua. Annunci improvvisi di orfani “disponibili”, seguiti da
altrettanto improvvise disillusioni; funzionari nervosi, corrotti, sempre
assenti, che rendono la ricerca quasi impossibile; giri estenuanti per
istituti sparsi nella capitale e sul territorio circostante, sempre con la
speranza di trovare il neonato giusto, il direttore disponibile, il colpo
di fortuna che può risolvere in un attimo la situazione. Il viaggio si
rivela però molto produttivo, anche quando sembra senza soluzione: ci si
impara a conoscere, si approfondisce il rapporto di fronte alle
difficoltà, ci si rende davvero conto che non si tratta solo di un
capriccio. E, soprattutto, si vede con occhi nuovi la tragica realtà del
Terzo mondo: le strade percorse da una torma di esseri umani in lotta per
la pura sussistenza, i quartieri fatiscenti, i tanti mutilati dalle mine
antiuomo che continuano a mietere vittime. Arriverà, infine, la piccola
Lola, e troverà due genitori molto più maturi di quando sono partiti. |
Le
piogge monsoniche, i mercati odorosi, le strade malridotte, il traffico,
gli insetti fastidiosi, gli sciami di motorette, i caotici sfondi urbani e
la campagna, il caldo afoso, i piatti piccanti, l'economia di strada, i
visi. La macchina da presa di Bertrand Tavernier si lascia irretire dalla
Cambogia. Pedinando il calvario burocratico ed emotivo di una coppia,
Pierre (Jacques Gamblin) e Geraldine (Isabelle Carré), arrivata in Asia
per adottare una bambina, il regista denuncia/constata il "mercato" delle
adozioni e racconta, con un rispetto e una discrezione rosselliniana, il
presente di un Paese in cui il ricordo degli orrori dei khmer rossi non è
svanito. Il film non è né un polemico dossier da inchiesta televisiva né
un generico docu-fiction: lo stile e la forma riflettono un punto di vista
morale. Scritto anche dalla figlia di Tavernier,
La
piccola Lola
per 128 minuti (qualche taglio in più non avrebbe minato l'intreccio) si
sintonizza sulle preoccupazioni, i picchi nervosi, i sorrisi, gli
scoramenti, le ansie, la scelta di "paternità" e di "maternità" dei due
protagonisti e delle altre coppie bloccate negli alberghi cambogiani in
un'assurda lista d'attesa. Adozione e commercio dei bambini, corruzione e
traffici illeciti, fax e moduli, firme e timbri, "donazioni" e visti,
lacrime dei piccoli e commozione degli adulti in un film incalzante e
ammirevole.
|