L'ospite inatteso (The Visitor)
Thomas McCarthy – USA 2008 - 1h 44'

  Piccolo avamposto dell'era Obama. Delle aspettative che alimenta. È L'ospite inatteso dell'americano Tom McCarthy, che, in altre tonalità, rinnova Terminal di Spielberg con Tom Hanks. Raccontare sullo sfondo delle fondate paure conseguenti all'11 settembre la semplice esperienza umana di un incontro tra diversi. Con tutte le sfumature di fiducia, paura, buonsenso, curiosità. Ciò che appartiene alle esperienze reali. Alle ipotesi verosimili. All'orizzonte del sempre più possibile incrociare la propria vita con chi arriva da altri luoghi con bagagli e fardelli non solo disperati, o non sempre per le stesse ragioni. Le occasioni si stanno moltiplicando dai banchi di scuola all'inserimento di giovani lavoratori nel Nordest. Secondo una gamma che prevede di tutto. Anche che l'immigrato non abbia un'identità standard. Che, per esempio, sia un artista o un ingegnere, una persona in qualcosa migliore di noi. C'è un americano di mezza età solitario, metodico, spento (l'attore è Richard Jenkins). Vedovo, docente universitario, pendolare. Ama la musica, beve buon vino, si intuisce che nutre sentimenti progressisti ma anche che non gli interessa più niente. Una sera trova l'appartamento occupato. Più che indignato è sorpreso e spaventato. Ma subito dopo aver cacciato gli abusivi si affaccia e li richiama. Tarek e Zainab, un siriano e una senegalese. Clandestini. Si arrangiano con dignità: lui suona il tamburo - da Dio - con un gruppo di amici nella metro. Sono perbene, sono grati a Walter al quale il ragazzo dona con slancio la sua amicizia. È tanto denso il legame che si crea, senza dirsi troppo, che anche Walter comincia ad andare con Tarek nella subway, da apprendista percussionista. Il giovane passa all'anziano quello che sa, e l'anziano ritrova una spinta vitale. Ma la metropolitana sarà maledetta perché proprio lì sotto Tarek viene fermato, messo dentro, rimpatriato. Walter si fa in quattro e durante una delle visite in carcere perde le staffe al rifiuto di dargli informazioni sul trasferimento dell'amico, probabilmente ha una reazione passionale per la prima volta da un'eternità. E rivendica la genuina natura dell'America che accoglie, dove tutti sono "diversi" e tutti sono americani se si comportano onestamente con questa terra che sentono la loro terra, l'America che non respinge chi abbia voglia di rimboccarsi le maniche. Come Tarek, che non deve vergognarsi e avere paura per essere arabo. Un delicato apologo. Senza retorica, senza proclami che le persone normali non si possono permettere e che, travolte dagli eventi, neanche penserebbero di poter fare: la sfuriata di Walter è dettata dall'istinto di cui per primo si spaventa. Ma contiene tutto. L'idea semplice che lo straniero non è per forza un nemico, l'immigrato non è necessariamente un terrorista, il clandestino non è sempre un pericolo ma può essere un ospite, magari diventare un amico e perfino uno che ti insegna qualcosa..

Paolo D'Agostini – La Repubblica

  Prima di bere la cicuta Socrate chiese di provare a suonare il flauto. Il professor Vale, maturo docente di economia nel Connecticut, vuole iniziarsi al tamburo africano. Non perché stia per morire, ma perché una vera vita non ce l'ha più da tempo. È vedovo, solo, insegna cose che non lo interessano da un'eternità, insomma tira avanti. Finché una sera, tornando dopo anni nel suo pied-à-terre newyorkese, lo trova abitato da una giovane coppia di immigrati illegali, il siriano Tarek e la senegalese Zainab. Chiunque altro chiamerebbe la polizia. Il professor Vale è così educato che se qualcuno legge una lettera in sua presenza, si volta per non spiare le sue emozioni.
Così, anziché cacciarli, stringe con loro un'insolita quanto profonda amicizia. Che proseguirà anche quando Tarek, dopo avergli impartito i primi rudimenti di tamburo, finisce in un carcere per clandestini. Il resto conviene scoprirlo al cinema, ma se vedete un solo film americano in un anno questo potrebbe essere quello giusto. Mai visto in effetti gli Usa lacerati del dopo 11/9 rappresentati con tanta quieta drammaticità. Ogni gesto, ogni dettaglio, ogni parola detta o taciuta, urlata o bisbigliata, compone il quadro di un paese (e di un'anima) lacerata. Letteralmente incarnato dal prodigioso Jenkins, l'ingessato professor Vale, personaggio magnifico, porta su di sé tutto ciò che il resto del cinema Usa nega o rimuove. Lo strazio, il dolore, ma anche il desiderio e il piacere che può darci l'altro, il diverso. E la rabbia e l'infelicità che provoca la repressione. Tutto con un pugno di personaggi e di ambienti. Chapeau!.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

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Walter Vale, professore universitario, conduce una vita stanca e monotona. Fino a quando parte per un convegno a New York e scopre che il suo appartamento cittadino è occupato da una coppia di stranieri, il siriano Tarek e la senegalese Zainab. Anziché cacciarli, stringe con loro un'insolita quanto profonda amicizia, che proseguirà anche quando Tarek, dopo avergli impartito i primi rudimenti di tamburo, finisce in un carcere per clandestini... Un delicato apologo senza retorica e senza proclami, sorretto dall'idea semplice che lo straniero non è per forza un pericolo ma può essere un ospite, magari un amico. Perfino qualcuno che ha qualcosa da insegnarti.

film del week-end precedente LUX - dicembre 2008