Frammenti di
un discorso amoroso all'italiana. Nata da un'idea di Vincenzo Cerami,
Manuale d'amore
è una commedia in quattro parti che ripercorre le fasi-chiave del percorso
di coppia: l'"innamoramento", la "crisi", il "tradimento" e l'"abbandono"
(a rigor di termini manca l'"amore" vero e proprio, sbrigativamente
liquidato alla fine del primo capitolo: ma la felicità, si sa, non ha
storia). Facendo un po' il verso alla sociologia dei sentimenti, dilagante
sulla carta stampata e traboccante dal teleschermo, Veronesi e Chiti hanno
scritto un poker di sketch che sintetizzano l'itinerario di una
coppia-tipo dei nostri giorni; affidando, però, ciascun episodio a un
binomio diverso d'attori. Il primo, il più delicato, mette in scena il
colpo di fulmine di Tommaso (Silvio Muccino) per Giulia (Jasmine Trinca);
ricorda
Che ne sarà di noi, col ragazzo timido e
un po' goffo ma determinato a espugnare il cuore della bella. Via via che
la fenomenologia amatoria evolve, gli episodi si fanno più ironici, non
senza qualche dose di cinismo. "Crisi" mette a confronto Margherita Buy e
Sergio Rubini nella fase in cui, all'amore, sottentrano il rifiuto
dell'altro e la paura della solitudine. Appropriata la dose di malinconia;
un po' ovvia l'ottusità del personaggio maschile a fronte della trepida
Buy. Le cose vanno peggio con "Gelosia", dove la vigilessa Ornella scopre
l'infedeltà del marito (Dino Abbrescia): si trasforma in una furia contro
gli uomini in genere; e gli automobilisti in particolare. Luciana
Littizzetto
imperversa,
confermandosi meno adatta al grande schermo che a quello piccolo. E'
farsesco senza pentimenti "Abbandono", con tanto di personaggio nascosto
sotto il letto e sul cornicione per sfuggire al marito dell'amante; lo
sostiene però un Verdone in gran forma, cui tocca anche il compito di
rilanciare il ciclo amoroso con una donna (Anita Caprioli) che lo
spettatore ha visto all'inizio. Malgrado questo e altri personaggi siano
delegati a fare da trait-d'union tra i diversi capitoli, le quattro parti
sono - in realtà - autonome; non insistono sulle ambizioni sociologiche
suggerite dal titolo ma, più saggiamente, intendono fornire un ragionevole
divertimento a segmenti di pubblico (anche anagraficamente) variati. Ne
esce un revival, per nulla disonorevole, delle commedie italiane a episodi
di moda negli anni Sessanta, con relativi pregi (a cominciare da un cast
particolarmente ricco) e difetti. Che sono poi quelli della pizza quattro
stagioni: dove una fetta t'ingolosisce, un'altra può rimanerti indigesta.
|