da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Benché la sua personale commedia umana continui a raccontare storie di tradimenti (delle speranze, dell'amicizia, del partner), il "touch" di Pupi Avati non tradisce né il regista, né il suo pubblico. Facendo ricorso a esperienze autobiografiche, in Ma quando arrivano le ragazze? Avati mette in scena, con la grazia e la malinconia evocativa cui ci ha abituati, un forte sodalizio destinato prima a trasformarsi in rivalità, poi a sublimarsi nella memoria: quello tra il borghese Gianca, innamorato del sassofono, e il proletario Nick, più irregolare, più irrequieto, più naturalmente dotato per la musica di quanto lo sia l'amico. Gianca e Nick fondano un gruppo musicale, il Joy Spring Quintet, che si conquista un piccolo spazio; ma il secondo prenderà il volo sulle note della propria tromba, diventando un solista di grande successo. Disteso sull'arco di dieci anni, ambientato in una Bologna "privata" e senza tentazioni di colore locale, osservato dal punto di vista di Gianca, il film è la storia della doppia educazione sentimentale dell'Io narrante; che dovrà misurare la distanza tra passione e talento e superare il tradimento della sua Francesca, "una delle undici ragazze più belle di Bologna", con l'amico del cuore. Avati è persuaso che ogni esperienza, ancorché dolorosa, aiuti a crescere e a conoscersi: e fin qui, niente di nuovo. Il fatto è che ci credi di più quando lo vedi nei suoi film. Dove anche le inquadrature delle comete, anziché evocare guerre stellari, ispirano pensieri di pacificazione con sé e con gli altri. Un nuovo capitolo nella tradizione del repertorio avatiano, insomma. Non soltanto, però. Nella filmografia del regista bolognese, Ma quando arrivano le ragazze? rappresenta, almeno in un senso, una novità: è il film della maturità di Avati che mette in scena la prima sintesi generazionale compiuta; laddove, da Impiegati (1984) in poi, i giovani erano rappresentati piuttosto come corpi estranei, da capire e magari da proteggere. Qui s'intuisce invece una continuità fondamentale tra le generazioni, in cui ciascuno (anche nei necessari rifiuti) è formato in profondità dall'altro: i figli dai padri come i padri dai figli. Ci riferiamo in particolare al bel personaggio del commercialista deluso, interpretato con sorprendente partecipazione da Johnny Dorelli. Anche la terna dei giovani interpreti è ben scelta: come se a ogni volto corrispondesse un destino.
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da Film Tv (Enrico Magrelli) |
Pupi Avati vive il proprio cinema, tra le altre opzioni estetiche della sua filmografia, anche come una lunga Jam session di jazz. Il film come set di un concerto della memoria e dell’autobiografia. Le storie come brani, standard, classici sui quali si può improvvisare, scavare nelle armonie, negli accordi, interpretandoli, di volta in volta con una tonalità differente ma vicina alla partitura messa sul leggio. Il jazz come passione irrealizzata nella sua pienezza e mai sopita e il jazz come spartito incompiuto (come lo è il sottile segreto di ogni passaggio su questa Terra) di una colonna sonora fatta di incontri, sogni insoddisfatti, sconfitte, amicizie, amori sfiorati. Ad libitum come in certe canzonette che continuano a dire una qualche verità, con o senza Truffaut. Le storie che vale la pena di raccontare sono poche. Come le sette note. E Avati lo sa. Non lo nasconde a se stesso e agli spettatori. Vuole, con esecuzioni sempre diverse, tornare al momento in cui, almeno per lui e non solo per lui, tutto è cominciato e dove tutto sembra tornare soprattutto per quello che va/è andato da un’altra parte, contraddicendo le tante risposte che si danno/si sono date alle domande formulate nella giovinezza. Mentre le indecifrabili comete stanno a guardare e viaggiano, indifferenti, in un cielo troppo grande per qualunque personaggio, per uomini e donne. Gianca (Bruguglia), Nick (Santamaria) e Francesca (Puccini) vivono le incostanze e le sorprese dell’amore e del caso. I due protagonisti si conoscono nel 1994 durante uno stage di Umbria Jazz. Un sax e una tromba per sanare antiche frustrazioni familiari e per assicurarsi una rivincita. Passano gli anni. Fortuna, talento, scelte, aspettative, sono comete che tocchiamo con mano, meno maestose e luminose di quelle che stanno lassù, eppure si muovono, seguendo un’orbita e una traiettoria imprevedibile e sulle quali nessuno ha potere. Affiancano e determinano gli innamoramenti e i tradimenti, le incertezze e gli scatti di impotenza, le tenerezze e l’intensa malinconia. Una malinconia che stringe a sé tutti i personaggi (bene interpretati da un buon cast in cui va segnalato Johnny Dorelli) di questa orchestra dell’umano sentire. |
LUX
- febbraio 2005