da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Anni ‘30, in un sobborgo operaio di Liverpool. Una famiglia di cattolici irlandesi all'epoca della depressione economica: padre disoccupato, madre casalinga e tre figli. Il più piccolo, Liam, ha sette anni, è afflitto da balbuzie e vittima di una scuola e di una parrocchia risolute a troncare sul nascere il minimo impulso sessuale. Mamma, paziente ma fiera, all'occorrenza sa battersi per difendere i suoi rampolli. All'inizio, pur nella miseria e nella mortificazione sociale, la famiglia trova ancora momenti d'intimità e perfino di buonumore. Troppo difficile, però, conservare l'ottimismo della volontà quando i tempi sono dei più grami; tanto che il frustrato babbo, per sua natura un brav'uomo ma sospettoso, ignorante e impastato di pregiudizi contro chi è «diverso» da lui, finisce per aderire al movimento fascista britannico, illudendosi di esorcizzare così i nemici che vede spuntare ovunque. A farne le spese sarà proprio sua figlia, che ha trovato occupazione presso una ricca famiglia ebrea. Dopo la brillante divagazione nella commedia di Alta fedeltà, Frears mette in immagini minimaliste un romanzo semiautobiografico di Jimmy McGovern, alternando con lodevole senso dell'equilibrio i toni allegri e quelli amari. Se i fatti sono tristi, dolorosi o addirittura disperati, il film (la produzione è Bbc e le inquadrature soffrono di una certa angustia televisiva) non rinuncia a una certa leggerezza di tocco, ottenuta filtrando gli eventi con gli occhi di un piccolo umorista senza saperlo. La sceneggiatura, scritta bene, articola la progressione degli eventi in un crescendo efficace; anche se scivola nel didascalismo quando s'impegna a dimostrare la genesi della paranoia del disoccupato. Tutto il cast è perfettamente all'altezza del compito: dal versatile Ian Hart alla giovanissima Megan Burns (premio Mastroianni al Lido), da Claire Hackett a Anthony Borrows, bimbetto dalla faccia di gomma che inciampa nelle parole ma sa guardare la vita con l'ottica giusta. |
da Film Tv (Emanuela Martini) |
Liam di Stephen Frears, attento, intelligente, ricco di umanità, tratto dal romanzo di Joseph McKeowen The Back Crack Boy, realizzato per la televisione, per la BBC, storia d'un bambino irlandese di sette anni a Liverpool nel 1930, serve a raccontare tante cose. La disgregazione d'una famiglia operaia a causa della disoccupazione del capofamiglia nella depressione economica. L'avvilimento dell’operaio senza lavoro, la sua disperazione silenziosa, la sua vergogna nell'ozio, la sua reazione violenta. La nascita del fascinino e dell’antisemitismo inglese, con gente in camicia nera che insulta irlandesi ed ebrei, che partecipa a spedizioni punitive, che lancia esplosivi per far saltare un negozio o una casa di ebrei. I guasti di un'educazione religiosa autoritaria e terrorizzante come era quella della Chiesa cattolica, assai minoritaria in Inghilterra e quindi particolarmente settaria. Il bambino, protagonista e testimone, interpretato da Anthony Barrows, benissimo scelto e diretto, è simpatico senza melensaggini e commovente, con la sua balbuzie che non gli permette di parlare e lo lascia esprimersi soltanto cantando. Suo padre, Ian Hart, è molto bravo. L'ambiente della casa, del quartiere, dei cantieri portuali, è ricostruito senza alcun accademismo filologico. Le psicologie nella famiglia operaia sono analizzate senza banalità né sentimentalismo: anche in un film come questo, che stilisticamente non dice molto, Stephen Frears s'impegna con estrema accuratezza e anche con tutto il cuore. |
TORRESINO aprile 2001
promo:
Liverpool
anni 30. Una storia proletaria che alterna il respiro lieve della
commedia alla drammaticità incombente della depressione. Il tutto
visto attraverso gli occhi del piccolo Liam. Uno sguardo innocente e
implicitamente ironico per un film minimalista e amabile, fatto di
storie comuni e attori straordinari (premio a
Megan
Burns come miglior esordiente alla Mostra di Venezia!). |