da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Scelto per rappresentare la Francia ai prossimi Oscar, un altro film sui benefici della musica come rimedio alla delinquenza. La canzone è nota. Qui, però, non siamo in una scuola di danza hip-hop di Harlem, bensì in una di quelle ricostruzioni storiche che piacciono tanto ai francesi, dove un cittadino medio (Gérard Jugnot, in una parte che ricorda quella di Monsieur Batignole) si dimostra capace d'imprese insospettate. 1949. Clément Mathieu, prof di musica disoccupato e collezionista di fallimenti privati, è assunto come sorvegliante in un istituto di rieducazione minorile. In contrasto con i metodi dispotici del direttore Rachin, Mathieu si persuade di poter addolcire i caratteri degli ospiti della casa tramite la musica e fonda un coro. Facile come convertire un gruppo di mercenari armati alla cooperazione internazionale? Invece l'ometto ce la fa; e non basta: tra i suoi allievi (un bel gruppo di facce "cinematografiche") scopre perfino un piccolo cantante dal viso d'angelo e dalla voce d'oro. Neppure l'impresa di Christophe Barratier (che ha ripreso il soggetto di un film francese del '45) era semplice; tutt'altro. Una trama fin troppo lineare lasciava sospettare l'ennesimo campione di film umanista, farcito di buoni sentimenti, che ti prende in ostaggio propinandoti un'ora e mezza d'emozioni precotte. Non va affatto così. Les choristes è un'operina pudica, spesso divertente (e a tratti, questo sì, ingenua) che conosce molto bene la differenza tra sentimentalismo e tenerezza. |
da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
Non capita a tutti di debuttare con un film che totalizza otto milioni di spettatori in patria, come è accaduto a Christophe Barratier, regista e sceneggiatore di Les choristes, l’opera prescelta dai francesi per rappresentarli nella gara dell’Oscar per il miglior film straniero. E pensare che l’esordiente, di formazione chitarrista classico e da sempre innamorato del vecchio cinema parigino, si è ispirato a La gabbia degli usignoli di Jean Dreville, una pellicola del 1944 definita nella «Guide des films» di Jean Poulard «un peu demodé». Mentre evidentemente si tratta di una storia semplice, che può incontrare i favori di un pubblico vasto ed eterogeneo. Nel 1949 un professore di musica, Clement Mathieu, viene assunto come sorvegliante in un istituto di rieducazione per minori. La durezza della vita nel triste, decadente edificio, dove sotto la conduzione di un rigido direttore si risparmia su tutto, dal cibo al riscaldamento, ha reso gli allievi ancor più difficili e ribelli. Ma Mathieu ha un tipo di approccio diverso, basato sulla comprensione e sulla tolleranza, sa che quei ragazzini sono usciti vulnerati da una terribile guerra e da condizioni familiari precarie e tenta di aiutarli con la disciplina dolce e coinvolgente del canto. Coloro che hanno fatto parte di un coro conoscono la magia di sentirsi amalgamati nell’armonia superiore della musica e fra i piccoli sbandati c’è il selvatico Pierre dalla voce d’angelo che sull’esperienza riuscirà a costruirsi un luminoso futuro da direttore d’orchestra. La cornice del presente, in cui Pierre ormai maturo e famoso (un cameo di Jacques Perrin, produttore del film e parente del regista) e un altro ex allievo ricordano il passato, è ovvia e pleonastica. Ma nell’insieme Les choristes pur tutto prevedibile negli snodi narrativi, si muove con grazia ed equilibrio tra dramma e commedia. I giovanissimi interpreti, presi dalla vita, sono accattivanti a partire dal piccolo solista di Lione Jean-Baptiste Maunier. E molto si deve all’interpretazione di Gerard Juniot, il quale ritaglia sul filo di una sensibilità mai sdolcinata e di uno stilizzato umorismo una bella figura di insegnante che senza nulla pretendere molto sa dare. |