Diretto dall'eclettico Roger Michell, ma soprattutto scritto fino all'ultimo sospiro da Hanif Kureishi, Le Week-End aggiunge un nuovo capitolo a quell'ispida esplorazione della vita amorosa, in tutte le sue forme, che il grande scrittore anglo-pakistano va compiendo da una trentina d'anni. Con racconti e romanzi ma anche con film come My Beautiful Laundrette, Intimacy o il più recente The Mother (diretto sempre da Michell, che a Kureishi deve anche lo script della serie tv Il Buddha delle periferie). Stavolta però i due protagonisti hanno una certa età, e sull'azione prevale il dialogo. Anzi diciamo che le azioni di Nick e Meg sono fatte soprattutto di parole. È con le parole (e con il loro lato invisibile, i sottintesi) che i due coniugi si amano e si odiano, si colpiscono e fanno pace, si rinfacciano dubbi e paure, si dichiarano amore, indifferenza o gelosia. Svelandosi poco a poco l'uno all'altra, forse più di quanto abbiano mai fatto nella loro vita ordinaria a Birmingham. Ma oltre alle parole ci sono loro, i loro corpi, il modo insieme toccante e quasi ridicolo con cui esprimono tensioni, desideri, paure, nostalgie. Ed è qui che il film lascia davvero il segno. Come nella scena, impagabile, in cui Meg vede il marito canticchiare e ballare, si fa per dire, mentre ascolta in cuffia Like a Rolling Stone. O in tutte quelle bravate, quei baci rubati, quelle corsette con cui scappano senza pagare o fanno i ragazzini a Parigi. Un po' in memoria degli anni passati, un po' in omaggio alla Nouvelle Vague, che a quell'epoca appartiene. E aleggia come un amabile fantasma su tutto Le Week-End, a partire dalla colonna sonora jazz di Jeremy Sams, per esplodere nella sequenza finale, presa di peso da Bande à part di Godard. Che era un inno alla gioventù, all'assenza di regole e di programmi. E qui diventa un feticcio, un talismano, un demone ispiratore che scorre in filigrana, spaesato e benvenuto, dietro molte scene del film. Il resto, inutile dirlo, lo fa il testo di Kureishi, che maneggia una materia apparentemente triviale, ma è talmente sottile da appassionarci alle peripezie non sempre imprevedibili di questa vecchia coppia che conta i soldi, litiga con gli albergatori, vaga in cerca di tombe celebri al Père Lachaise, e nel frattempo cerca di scoprire se può tirare avanti. Del resto, come scrive Kureishi nell'introduzione alla sceneggiatura (Bompiani) «la maggior parte di noi viene da un matrimonio, e probabilmente da un divorzio, di qualche tipo». La materia non potrebbe essere più familiare dunque, ma Le Week-End riesce a cavare note sempre nuove dall'antica partitura dell'amore in età matura. Anche perché nel ping pong fra i due coniugi a un certo punto si inserisce lo spiritato Morgan (un Jeff Goldblum spregevole e irresistibile) ex compagno di Nick a Cambridge e suo opposto in tutto. Se Nick è la formica che ora si ritrova squattrinato e forse prepensionato accanto alla sua donna di sempre, Morgan è la cicala. L'allievo brillante tutto carriera e quattrini che ora vive con una nuova e giovanissima moglie in una bella casa su rue de Rivoli. E porta a galla quasi con violenza la domanda che Kureishi formula con chiarezza nell'introduzione al film: «Valeva la pena reprimersi?». Valeva la pena rinunciare almeno in parte a se stessi, a progetti e piaceri, per sposare ruoli, persone, modelli, benedetti dalla società? E' questo l'eterno dilemma. Eros o civiltà? L'età dei protagonisti lo rende più stringente. Ma non appartiene certo solo a loro. |
Fabio Ferzetti - Il Messaggero |
Una firma di prestigio alla sceneggiatura, quella di Hanif Kureishi, il drammaturgo che dette un impulso fondamentale alla British Renaissance cinematografica degli anni 80 (My Beautiful Laundrette). Un regista di successo, Roger Michell. Due attori di inappuntabile scuola britannica: lei Lindsay Duncan, lui il finissimo Jim Broadbent. Anche se ambientato a Parigi e malgrado l'interferenza dell'americano Jeff Goldblum, un film molto inglese e una formula molto europea. (...) Un cinema fatto di impalpabili piccoli grandi valori, fatto di silenzi sguardi gesti, parole rivelatrici che significano altro... |
Roberto Nepoti - La Repubblica |
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In occasione del loro 30° anniversario di matrimonio, Nick e Meg Burrows decidono di trascorrere un weekend a Parigi, la città dove hanno passato la loro luna di miele. Tuttavia, quello che era stato concepito come un fine settimana all'insegna del romanticismo, rischierà di essere rovinato dalla loro ormai consolidata routine fatta soprattutto di tensioni e battibecchi. Ma sarà l'inaspettato incontro con Morgan, un vecchio amico, a far capire a Nick tutto quello a cui tiene davvero nella vita e nel suo matrimonio. Una coppia alla ricerca dell'intimità perduta in un'età che può ancora portare brividi e passioni. Un cinema fatto di impalpabili piccoli grandi valori, di silenzi sguardi gesti, parole rivelatrici... |