Il labirinto del silenzio (Im Labyrinth des Schweigens)
Giulio Ricciarelli - Germania 2014 - 2h 4’



 

   Il labirinto del silenzio è una grande storia indimenticabile, carica di serena passione, tesa nel ritmo ansioso del thriller dove il giustiziere deve muoversi tra mille ostacoli ma li vince tutti. Lo ha girato Giulio Ricciarelli (...) senza una scena, una foto dell'Olocausto; solo qualche straziata parola strappata ai sopravvissuti (...); solo quelle facce qualsiasi di uomini di mezza età, gli ex aguzzini, tornati cittadini esemplari, che, muti, perdono ogni bonomia in un attimo di consapevolezza della loro ferocia dimenticata..

Natalia Aspesi - La Repubblica

  Francoforte, 1958. Johann Radmann è un giovane procuratore deciso a fare sempre ‘quello che è giusto’. Un principio, il suo, autografato sulla foto del genitore, scomparso alla fine della Seconda Guerra Mondiale e di cui conserva un ricordo eroico. Ma i padri della nazione, quella precipitata all’inferno da Hitler, a guardarli bene sono più mostri che eroi e Johann dovrà presto affrontarli. Avvicinato da Thomas Gnielka, giornalista anarchico e combattivo, conosce Simon, artista ebreo sopravvissuto ad Auschwitz e a due figlie gemelle, sottoposte a test crudeli dal dottor Josef Mengele. Simon ha riconosciuto in un insegnante di una scuola elementare uno degli aguzzini del campo di concentramento. Come lui, molti altri ‘carcerieri’ e ufficiali sono tornati alle loro vite rimuovendo colpe orribili. Colpito dal dolore di Simon e dall’ostinazione di Thomas, Johann decide di occuparsi del caso. Schiacciato tra il silenzio di chi vorrebbe dimenticare e di chi non potrà mai dimenticare, il procuratore chiede consiglio e aiuto a Fritz Bauer, procuratore generale, che gli darà carta bianca e il coraggio di perseverare. Testimonianza dopo testimonianza, Johann Radmann prende coscienza dell’orrore, ricostruisce il passato prossimo della Germania e avvia il ‘secondo processo di Auschwitz’.
La Shoah ha marcato il secolo scorso con un’impronta unica e tragica, influenzando in maniera decisiva i nostri modelli di rappresentazione e particolarmente il cinema. Questa ‘influenza’ continua a interrogare autori, critici ed esperti e a produrre opere che aiutano a convivere col passato, un passato che non può e non deve passare. E di passato e della sua rielaborazione dice (molto bene) Il labirinto del silenzio di Giulio Ricciarelli, regista italiano naturalizzato tedesco, che assume il cinema come metodo d’investigazione e approccia il soggetto con l’eloquio lento del ‘diritto’.
Con
Il labirinto del silenzio assistiamo precisamente a uno slittamento dal piano della visione a quello dell’ascolto, dalla potenza delle immagini a quella delle parole. Al centro del film un giovane e biondo procuratore che sessant’anni dopo la liberazione dei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau guida il proprio Paese come Arianna fuori dal dedalo e dal silenzio. Se la Germania dichiara oggi a voce alta la propria responsabilità eterna per la Shoah, non è stato sempre così. Dopo la guerra i tedeschi non avevano alcuna voglia di risvegliare i fantasmi del passato e troppa forse di tirarci una linea sopra, rimuovendone il peso. Nel 1949 dunque il cancelliere Konrad Adenauer appoggiava la reintegrazione massiva, soprattutto nella funzione pubblica, dei cittadini rimossi dai loro incarichi perché coinvolti con il regime nazista. Promotore della resurrezione materiale della Germania, sottolineata da Ricciarelli con champagne, nuovi edifici e nuovo stile di abbigliamento, Adenauer interpretava il desiderio della sua gente che voleva soltanto dimenticare, che non voleva sapere. Tutto cambierà però a partire dal 1958 e per l’intervento di una commissione incaricata di indagare sui crimini di guerra e sui criminali nazisti.
Mescolando personaggi reali (il giornalista Thomas Gnielka e il procuratore Fritz Bauer, a cui il film rende omaggio) e di finzione (il protagonista ‘composto’ da tre procuratori esistiti), l’autore realizza un dramma giuridico e personale storicamente irreprensibile. Film-dossier sobrio ed efficace,
Il labirinto del silenzio scorre una pagina rilevante della storia in fondo alla quale il male avrà finalmente “un nome, un viso, un’età, un indirizzo”. Divorato dall’interno e ‘aggredito’ dall’omertà dominante, il protagonista ostinato di Alexander Fehling si fa carico del passato della nazione. Convinto di vivere nel paese migliore del mondo, come cantano i bambini nel cortile della scuola, Radmann non riesce davvero a immaginare cosa siano stati i campi di sterminio spacciati per ‘campi di detenzione preventiva’. Ma l’enormità della menzogna non tarda a travolgere il protagonista convinto di indagare su un omicidio e smentito dalla realtà che emerge lo sterminio di massa. Due anni dopo il processo Eichmann a Gerusalemme e vent’anni dopo il processo di Norimberga, ventidue criminali nazisti (soltanto sei saranno condannati all’ergastolo) compariranno davanti al tribunale di Francoforte. Momento capitale nella storia recente della Germania, il ‘secondo processo di Auschwitz’ apre una fase volta alla sensibilizzazione della magistratura e dell’opinione pubblica sul tema delle colpe e delle responsabilità della Germania durante la guerra. Assumere il proprio passato divenne da allora un dovere morale per tutto il Paese.
Teso e appassionante come un polar, Il labirinto del silenzio svolge una partitura inquisitoria che bracca i cattivi, confronta superiori, gerarchi e subordinati e interroga il silenzio degli aguzzini e quello delle vittime, barricate dietro il loro dolore. Perché il film, attraverso il personaggio di Simon, tratta (anche) l’isolamento dei sopravvissuti, la difficile integrazione in Germania come in Israele, l’impossibilità di dire a chi ignorava l’ampiezza dello sterminio. Ma il film trova le parole, quelle della legge e quelle del Kaddish che Radmann e Gnielka reciteranno per i bambini di Simon lungo il perimetro spinato di Auschwitz. Il silenzio è rotto.

Marzia Gandolfi - mymovies.it



promo

In Germania, negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, alcune istituzioni tedesche decidono di portare avanti una cospirazione per occultare i crimini di Auschwitz. Nel 1958, a Francoforte, il giovane Pubblico Ministero Johann Radmann s'imbatte in alcuni documenti che aiutano ad avviare il processo contro diversi militari delle SS che hanno prestato servizio ad Auschwitz. La sua battaglia per assicurare i responsabili alla giustizia è un altro pezzo di storia vera della Germania e con una regia “squadrata” su uno schema da detective story il film riesce a costruire una drammatizzazione efficace ed appassionata sull’eterno dibattito sul ruolo e le forme della memoria.

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