Forse bisogna davvero tornare alla semplicità
del documentarismo per ritrovare un cinema che sappia farci riaprire gli
occhi annebbiati da troppo finto-realismo hollywoodiano. Un cinema, cioè,
che sappia guardare e cercare, alla ricerca di un mondo non ancora snaturata
dalla condanna a "comunicare". Un cinema come quello dei due
fratelli belgi Dardenne
: l'incidente mortale che ucciderà uno degli
immigrati clandestini che lavorano per il padre porta un ragazzino ad abbandonare
l'innocente amoralità in cui vive per scoprire le tragedie del razzismo
e dello sfruttamento, della povertà e dell'egoismo. Ma anche se
la trama segue l'evoluzione del quindicenne Igor, non è lui il vero
centro del film. Siamo lontanissimi dal meccanismo spettacolare che, per
conquistare l'attenzione dello spettatore, sceglie un personaggio e ne
fa un "eroe". Il centro - e il senso - del film è la forza
con cui, attraverso i personaggi, la macchina da presa sa farci
scoprire il reale (sfuggendo il naturalismo). Caso sempre più raro,
La promesse ti dà l'impressione straordinaria che, senza
il cinema, senza quel cinema, non saremmo stati capaci di "vedere"
quello che ci viene mostrato sullo schermo. |