Kreuzweg -
Le stazioni della fede |
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Orso d’argento - miglior sceneggiatura |
Premio della giuria ecumenica |
Kreuzweg
del giovane regista bavarese Dietrich Brüggemann (36) è la storia di
un’educazione ultrareligiosa. Un’altra pellicola sull’estremismo islamico?
No, cattolico. Un’educazione mortale. L’abuso psicologico di una
quattordicenne sullo sfondo dell’amena provincia rurale tedesca. Oggi. La
camera all’inizio è fissa sul volto dell’adolescente. Con i compagni la
ragazza non sta assistendo a una lezione di catechismo ma di guerra. Viene
voglia, e qui il film centra l’obiettivo, di alzarsi, entrare nello
schermo e strappare Maria dall’abbraccio mortale di madre, padre e di un
prete delirante. In quest’ottica alla fine Maria tende alla gioia più
grande attraverso il sacrificio più grande. Morire per Dio. |
Simone Porrovecchio - cinematografo.it |
Vincitore alla Berlinale del premio per la migliore sceneggiatura in un concorso peraltro sontuoso che allineava Boyhood, Grand Budapest Hotel e Fuochi d’artificio in pieno giorno (poi vincitore dell’Orso d’oro), Kreuzweg meritava di più, meritava l’Orso d’oro, perché questo è uno dei film migliori della decade. Un film bello e importante per quanto racconta e come lo fa. Per il coraggio, inaudito, di riproporre al centro della narrazione e alla nostra attenzione il sacro, il trascendente, il religioso, l’oltre-naturale. Dio. La fede. Il cristianesimo vissuto come esperienza totale e radicale in un’Europa, in un Occidente, oggi quasi completamente secolarizzati. Cioè, tutto quello che la cultura ormai dominante – quella di cui sono intrisi i media e anche le nostre menti, le nostre conversazioni, le nostre cene conviviali con amici e conoscenti e non-conoscenti – ha espunto da molto tempo quale cosa sconveniente, anche socialmente sconveniente, quale residuo di un’età oscura, quale indice di una visione povera del mondo e di bassa appartenenza (sotto)culturale. Sono laico, ma ho un gran rispetto per chi crede e, ebbene sì, anche per il cristianesimo, senza del quale noi – noi dell’occidente intendo – saremmo quello che siamo, anche i laici che siamo. Detesto le grevi e triviali polemiche antiecclesiastiche, antipapiste, contro la Chiesa troppo ricca e arruffona e corrotta, e tutto quello sparlare greve di Ior e Marcinkus, e delle scarpe Prada di Ratzinger ecc. ecc. Quell’ignobile repertorio del dalli al prete, dalli alla tonaca, dalli al papa e al cardinale, di cui sono pieni, e basta dare un’occhiata, i social media che frequentiamo. Ecco, in un mondo che oggi è questo qui, appare un film come Kreuzweg, ed è una rivelazione. Storia, sofferenza e passione di una ragazzina di anni 14 di nome Maria. Che è parte di una famiglia cattolico-tradizionalista, messa e preghiere in rigoroso latino, recupero e pratica del rito tridentino, ogni passione e ogni cedimento alla carne banditi. Un ambiente che somiglia a quello filmato in uno dei documentari migliori del 2013, Stop the Pounding Heart di Roberto Minervini (lì eravamo in Texas, all’interno di una famiglia di fede presbiteriana). Si sta preparando alla cresima, Maria, dunque a diventare soldato di Cristo, ma la sua mente è tormentata dall’idea del martirio, del sacrificio di sé a Dio. Aspirazione che è stata in passato di tante sante, di tante ‘pazze di Dio’, e oggi liquidata come aberrazione psichica. Lo straordinario di questo film è che prende sul serio Maria e la sua aspirazione a un personale calvario, non la liquida trivialmente come una matta da legare, ce la racconta sospendendo ogni giudizio e standole invece vicino e facendocela amare. E anche se il regista (pure autore della sceneggiatura insieme alla sorella Anna, che pare abbia sperimentato un’educazione simile) ci mostra la durezza iper rigorista del contesto familiare e soprattutto della madre, si astiene da ogni rozza polemica antireligiosa. Il contrario di quello che aveva fatto l’austriaco Ulrich Seidl nel suo tremendo Paradiso: fede dove sbeffeggiava senza pietà una poveretta solo colpevole di essere una fervente cattolica. Maria ha un fratellino di quattro anni che non parla, autismo dicono gli specialisti. Ma lei comincia a pensare che se offrisse la propria vita a Dio potrebbe ottenere in cambio la guarigione del fratello. >>SPOILER |
Luigi Locatelli - nuovocinemalocatelli.com |
Il
volto di una ragazzina coronata di spine e sopra la scritta «Si può
amare Dio e la musica pop?». Questo lo slogan del poster scelto dal
marketing per lanciare anche in Italia
Kreuzweg – Le stazioni della fede,
film del regista Dietrich Brüggemann, vincitore dell’Orso d’argento a
Berlino 2014 come migliore sceneggiatura (firmata dalla sorella Anna) e
del Premio della giuria ecumenica. Una pellicola particolare per il taglio
registico originale, ma anche per una tematica controversa che potrebbe
non essere chiara di primo acchito allo spettatore meno preparato. Perché
quando si parla di un film «contro i fondamentalismi» per una pellicola
incentrata sulla fede cristiana è opportuno fare alcune distinzioni.
Soprattutto quando l’opera è ben girata, con cognizione di causa e con una
sequenza di lunghe inquadrature fisse che concentrano l’attenzione sulle
inquietudini adolescenziali della tenera Maria, in cui molti di noi
possono riconoscere se stessi e i propri figli. L’idea registica è quella
di associare le quattordici stazioni della Via Crucis a quelle personali
di una quattordicenne che sacrifica la sua vita al Signore, decidendo di
ammalarsi e morire affinché questi guarisca il fratellino autistico di
quattro anni. Una decisione estrema frutto di una interpretazione
travisata degli insegnamenti cristiani, che il film imputa agli adulti,
rei di praticare, come ha dichiarato il regista, «un abuso spirituale»
sulla ingenua ragazzina. |
Angela Calvini - avvenire.it |
promo |
Scandito dalle stazioni della Via Crucis, Kreuzweg è la personale ascesa ad un personale martirio di una ragazzina di 14 anni cresciuta in una famiglia cattolico-integralista. Un film che non dileggia chi crede, che si fa domande ma non dà risposte, con un occhio a Dreyer, Bergman, Mungiu. Non tanto un atto d’accusa al fondamentalismo cristiano, ma un cammino di riflessione umana tout court che, stazione dopo stazione, non rinuncia mai ad instillare dubbi e complicare la questione. Orso d’argento per la miglio sceneggiatura e Premio della giuria ecumenica alla 64a Berlinale, Kreuzberg è, anche cinematograficamente, una “rivelazione”. |
LUX
ottobre/novembre 2015 |