I
Paesi scandinavi sono in pieno boom economico. Lo Home Research Institute
svedese s'incarica di studiare il modo in cui si comportano i maschi
celibi norvegesi quando stanno in cucina, allo scopo di funzionalizzare e
ottimizzare i servizi di quella parte della casa. La regola è che
l'osservatore se ne stia arrampicato su una sedia sistemata in un angolo,
senza scambiare parola con l'osservato. Nella prima parte di
Kitchen Stories
il precetto è rispettato, dando luogo a godibilissimi momenti di comico
visivo che fanno venire in mente - nientedimeno - il grande Jacques Tati.
Nella seconda parte la regola cade, nasce un'amicizia tra l'analista e la
(inizialmente riluttante) cavia e il film di Bent Hamer
prende piuttosto
un andamento psicologico; magari meno originale però misurato e pieno di
tenerezza. Anche perché continua ad aleggiarvi un tipo d'umorismo
tipicamente scandinavo (pensiamo ai film di Aki Kaurismaki), fatto di
lentezza, pause, gusto dell'assurdo. Lo stile di messa in scena del
regista norvegese, al suo terzo lungometraggio, è semplice e funzionale;
bravissimi gli attori, che mostrano grande padronanza dei tempi da
commedia. Dietro lo strato divertente e affettuoso, però, fa capolino uno
sguardo critico piuttosto acuminato: sull'ossessione della
classificazione, i prodromi del "grande fratello" (spiare le persone per
aumentare i rendimenti), l'implacabile analisi dei nostri comportamenti
privati a fini di mercato. |