da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
L’imperatore e l’assassino di Chen Kaige è un kolossal storico sontuoso, barocco, crudele, appassionante, una produzione cino-franco-giapponese divenuta leggendaria non soltanto in Asia per il suo altissimo costo, per i luoghi della lavorazione trasformatisi in méte turistiche, per le allusioni politiche. Duecento anni prima di Cristo, il re di Ch’in condusse in un decennio la grande opera di unificare i sette «stati combattenti» del Paese che dal suo nome, pronunciato Cin, si chiamò Cina e di esserne il primo imperatore. Il film di Chen Kaige ha dunque l’ambizione di ripercorrere l’origine e la fondazione della Cina, inclusi i dilemmi morali di quella impresa politico-bellica. Almeno nella finzione cinematografica, il re promette al suo amore Gong Li di condurre a termine il progetto di unificazione senza violenze né massacri. Invece bagni di sangue, uccisioni di parenti e di bambini, battaglie mortifere segnano la conquista, con tale atrocità che la donna prepara un attentato per sopprimere il re, valendosi d’un assassino a lei devoto. Il personaggio storico del primo imperatore della Cina è stato il punto di riferimento storico del presidente Mao; sembra intenzione del regista pure dimostrare quanto le promesse dei potenti possano risultare ingannevoli, e come l’aspirazione perenne a creare un mondo migliore possa trasformarsi in orrore quotidiano. Chen Kaige di Addio mia concubina non ha una speciale vocazione per le scene d’azione e di combattimento, mentre è straordinario nel raccontare le trame, le trappole della Corte o il tentativo fallito dell’amante della regina madre d’impadronirsi del potere: la torbida violenza dell’intrigo, la turpe mescolanza di lusso e ferocia, di eleganza e sangue, la forza letale della menzogna e della bellezza hanno nel film un’eloquenza rara che ricorda il mondo di Kurosawa. Sono suggestivi e bellissimi i paesaggi della Mongolia esterna, le coreografie di morte, gli attori molto bravi, le grandi scene cerimoniali. Se un desiderio dell’autore poteva essere quello di reimpadronirsi della Storia del suo Paese, di creare con la vicenda del primo imperatore della Cina un’analogia a L'ultimo imperatore di Bertolucci, il proposito si è magnificamente realizzato. |