È
stato lento il cammino distributivo di
Addio
mia concubina rispetto a quello, sfolgorante, di
Lezioni di piano,
nonostante i due film fossero accumunati da un premio comune, la
Palma
d'oro vinta ex aequo al festival di Cannes dello scorso maggio. Così
il melodramma di Jane Campion ha goduto del lancio internazionale della
Croisette, mentre Addio mia concubina esce ora in sordina sul mercato
italiano, accompagnato solo dalla forza della propria preziosità
stilistica e dall'ambiguità di una tematica sofferta, nella complessità
delle dinamiche private e politiche della Cina del XX secolo.
Si parte dalla metà degli anni 20 quando i due protagonisti, ancora
ragazzi, muovono i loro primi passi nella scuola dell'Opera di Pechino,
per tradizione tutta maschile. E' un'amara esperienza fatta di dura disciplina,
di punizioni umilianti, di indottrinamento culturale sulla rigorosità
dei riti teatrali e sulla simbiosi dei ruoli interpretativi in cui i giovani
attori identificano via via la propria personalità. Accade così
che nella iterata messa in scena del dramma Addio mia concubina,
pezzo forte del teatro dell'opera, ad uno dei due amici, Duan Xiaolou,
venga assegnato il ruolo dell'Imperatore sconfitto, mentre all'altro, il
sensibile Cheng Dieyi, quello della sua fedele concubina, pronta a seguire,
fino alla morte, la caduta dell'amato sovrano.
Dieyi resterà segnato a tal punto dall'intensità della sua
performance femminile da confondere l'arte e la vita, da amare morbosamente
il suo amico-sovrano, da consumare la propria esistenza nella ritualità
della rappresentazioni teatrali e nella sofferenza per l'impossibile amore
verso Xiaolou che invece sa vivere intensamente la propria maturità,
prendendo coscienza della realtà politica e trovando moglie nella
bella Juxian, un'ex-prostituta della "casa dei fiori".
Sull'impianto
teatrale della vicenda privata, già intensa e straziante, Chen
Kaige costruisce un fitto intreccio di riferimenti culturali e politici
che accompagnano specularmente la crescita umana dei due amici e la storia
sociale della Cina, dagli ultimi anni dell'Impero alla fine della Rivoluzione
culturale. Così attraverso l'alternarsi delle glorie e delle miserie
del teatro dell'Opera percepiamo i mutevoli atteggiamenti del regime e
dei suoi seguaci, alle gelosie e ai dissidi interni tra i protagonisti
fanno eco i tradimenti e i processi sommari che hanno visto, prima e dopo
Mao, il continuo lacerarsi della solidarietà del popolo cinese
e che coinvolgeranno drammaticamente Dieyi, Xiaolou e Juxian.
Chi vuole leggere dalla passionalità del titolo o dalla scabrosità
del tema omosessuale, le premesse per un esplodere di quelle sequenze-scandalo
che hanno reso famoso certo cinema orientale è davvero fuori strada. Addio mia concubina è una raffinata, estetizzante metafora
di una realtà culturale controversa e irrisolta di cui Dieyi è
una figura cardine emblematica, puntualizzata dallo stesso Chen Kaige nelle
sue dichiarazioni: "Dieyi sa di provare un sentimento impossibile,
che può realizzarsi solo nella finzione, sotto gli abiti sontuosi
della concubina. Del resto lui non ne ha colpa; il punto chiave del film
non è l'omosessualità, ma il rapporto dialettico tra la libertà
personale e la pressione del gruppo. Dieyi non è un vero omosessuale,
ma una persona di grande sensibilità che scopre di poter raggiungere
la sua perfezione, se stesso solo sulla scena. E' un artista innamorato
di un ideale estetico che aspira all'impossibile. E' un emarginato che
nella sua diversità trova l'ultimo luogo della libertà".
Emarginazione sociale e libertà, due temi non facili da trattare
nel contesto della Cina, ancor più ardui poi da mettere in sintonia
tra gusti e culture così lontane come quella orientale ed europea.
Ma Addio mia concubina riesce a concretizzarsi in una pellicola
affascinante, di una ricchezza figurativa davvero eccezionale: l'asciutta
e veemente parentesi dell'infanzia lascia un segno lacerante anche nello
spettatore e se la scorrevolezza narrativa talvolta viene meno (il formalismo
lezioso dei riti teatrali è una chiave di lettura spesso ostica
per la nostra sensibilità) nulla si perde però dell'intensità
globale di un'opera che arriva alla tragicità dell'epilogo in un
crescendo incalzante, senza mai perdere di vista l'organicità del
mosaico coreografico, regalandoci la scoperta di una problematicità
culturale complessa e la suggestione di memorabili sequenze di vero cinema
d'autore.
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