Due cuori, due
teste, due generazioni, due sfide in una capanna nel deserto
australiano. Per tre giorni. Ruth, bella e inquieta, e PJ, sicuro
e abile, lottano corpo a corpo, l'uno contro l'altro, l'uno senza
l'altro. Ruth si è "perduta" in India, affascinata
dalla spiritualità, dalla cultura, da un guru, da un'idea vaga e
tenace di assoluto, dalla possibilità di raggiungere l'illuminazione.
PJ è incaricato dalla famiglia di Ruth di "riportarla"
psicologicamente in occidente, alle sue abitudini e ai suoi
affetti presunti. PJ è un esperto di disintossicazione e di
riprogrammazione delle persone rimaste impigliate nella rete
delle sette. Quello di Ruth è il 190° caso della sua carriera.
Il più difficile. Quello che lo annienterà in un contrappasso
esistenziale definitivo. Il combattimento tra la morbida, giovane
e sensuale Kate Winslet e l'appesantito, accigliato e sfiorito
Harvey Keitel procede, in un primo momento, come da programma.
Battute, citazioni, videocassette, fuorigioco intellettuali (passando
da Giuseppe Verdi a Socrate). Sottrazione dei libri e degli abiti
che legano emotivamente alla sua nuova realtà la persona da
recuperare. Sfiorare la frantumazione delle sicurezze dell'io.
Manipolare. Ruth, però, è troppo seducente, la sua famiglia (costante
irrinunciabile del cinema della
Campion) troppo dissennata e
imbecille, il cielo e le montagne troppo silenziose, la relazione
troppo pericolosa. Sesso, passione, perdita di sé, furori dai
quali non si salva nessuno pulsano in questo film generoso e
dissipato, intenso e pasticciato, ben girato, ben recitato e
confuso. |